Federica Angeli e Sabrina Pignedoli. Due giornaliste che sfidano le mafie

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Lo scorso maggio sono stato invitato a Orvieto a un convegno sulla libertà di stampa. Incontro promosso da Stefano Corradino, direttore di Articolo21. Mi è stato chiesto di intervenire sul rapporto tra informazione e migrazioni: ho ribadito che la stampa, nelle sue diverse articolazioni, ha un ruolo fondamentale nel far comprendere all’opinione pubblica le ragioni per cui tante persone lasciano il loro paese per cercare lavoro e diritti altrove; e ho sottolineato che l’informazione italiana non segue con continuità ciò che avviene sul piano politico, economico e sociale nei 54 paesi del continente.

Ma quel convegno mi ha fatto bene perché mi ha dato l’occasione di conosce e di apprezzare il lavoro di due giornaliste. Federica Angeli, de La Repubblica, e Sabrina Pignedoli de Il Resto del Carlino a Reggio Emilia. Due donne, due professioniste preparate, decise e particolarmente coraggiose.

La Angeli ha raccontato quanto le sono costate le sue inchieste sulla mafia romana, in particolare nell’area di Ostia. Nel 2013, nel corso di un’inchiesta condotta insieme al collega Carlo Bonini – l’intento del lavoro giornalistico era di far luce sui legami tra la criminalità organizzata e la pubblica amministrazione – ha avuto a che fare con il boss Armando Spada, che comanda la malavita organizzata del litorale, e ha tentato di intervistarlo. La risposta del boss è stata: «Mo te sparo in testa!». Così dal luglio del 2013, la giornalista vive sotto scorta permanente. Federica Angeli ha spiegato anche come sta gestendo la sua vita privata, le difficoltà di spiegare ai suoi figli la situazione che la famiglia deve affrontare ogni giorno. Sull’intera vicenda ha appena pubblicato un libro – A mano disarmata (Baldini+Castoldi) – e sta andando avanti con coraggio.

Voglio ricordare che il 3 giugno scorso, in occasione della festa del Corpus Domini, papa Francesco si è recato a Ostia. E durante l’omelia ha chiamato i cristiani ad impegnarsi contro la mafia: «Abbattete i muri dell’indifferenza e dell’omertà; aprite le vie della giustizia e della legalità». Sempre lo scorso giugno, un migliaio di cittadini di Ostia sono scesi in piazza per manifestare la loro solidarietà a Federica Angeli.

Sabrina Pignedoli si occupa invece delle infiltrazioni della ’ndrangheta nel territorio di Reggio Emilia. Un fenomeno, ha detto, che è iniziato negli anni ’90, ma del quale pochi sembrano avere consapevolezza. Ha cominciato qualche anno fa a pubblicare i primi articoli e subito sono arrivate le minacce di morte. Non ha mai perso la fiducia e la lucidità necessarie, ma ha dovuto accettare di vivere sotto scorta. Anche lei ha raccolto il suo lavoro in un libro uscito nel 2015: Operazione Aemilia (Imprimatur). L’attività della ’ndrangheta, ha sottolineato la giornalista, si dispiega su larga scala e sta minando e corrompendo il tessuto economico.

Entrambe le giornaliste si sono soffermate sulla solitudine che si sperimenta quando si toccano certi interessi. E questo fatto mi ha molto colpito. Ma dove sono i cittadini italiani? Due donne hanno avuto il coraggio di sfidare il sistema malavitoso e devono sentire il sostegno dell’opinione pubblica.


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