300mila i bambini soldato coinvolti in una trentina di conflitti

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«In Afghanistan ci sono ragazzi così disperati da essere costretti a scegliere fra raccogliere escrementi di mucca da polverizzare per rivenderli come combustibile, o arruolarsi in una delle coalizioni armate. In Africa la povertà, la mancanza dei genitori, la fame spingono i bambini ad unirsi ai gruppi di guerriglieri. E quando non c’è volontarietà, ci sono i rapimenti, perché i piccoli sono una garanzia: sono facilmente manipolabili, non disertano perché non hanno alternative, spesso non chiedono neanche una paga, si accontentano di un po’ di cibo e, cosa più importante, in mezz’ora sono in grado di maneggiare un Kalashnikov AK47». Lo hanno spiegato a Venezia lunedì 12 febbraio, le avvocate Maria Stefania Cataleta ed Elisabetta Galeazzi, abilitate al patrocinio presso la Corte Penale Internazionale, relatrici al Convegno: “Crimini internazionali: il caso dei bambini soldato”, organizzato da Ordine dei Giornalisti del Veneto, Ordine degli Avvocati di Venezia, Fondazione Feliciano Benvenuti e Fondazione Arbia, in occasione della Giornata contro l’uso dei bambini soldato, deliberata delle Nazioni Unite. Assieme a loro, l’avvocato Federico Cappelletti, Coordinatore della Commissione Diritti Umani del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia e il magistrato Silvana Arbia, già Registrar presso la Corte Penale Internazionale (CPI) che ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi.

Il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Optional Protocol on Children in Armed Conflict), ratificato da 132 Paesi nel mondo, inclusa l’Italia, vieta la partecipazione diretta dei minori di 18 anni nei conflitti armati e fissa a 18 anni l’età minima per il reclutamento anche da parte dei gruppi armati irregolari oltre che per l’arruolamento obbligatorio nelle forze armate governative. «Eppure sono circa 300mila i bambini e le bambine coinvolti in una trentina di conflitti in diverse parti del mondo – anche in Paesi che hanno ratificato la Convenzione -, con un’età media al di sotto dei 13 anni, ma ci sono combattenti anche di nove, dieci anni, quindi in grave violazione della normativa», continua Cataleta. Il primato negativo resta all’Africa con centomila minorenni che hanno partecipato o partecipano tuttora a conflitti. Bambini soldato sono presenti in Sudan, Liberia, Burundi, Somalia, Angola, Algeria, Sierra Leone, Costa d’Avorio, Uganda, Nigeria. Quasi 2.000 sono i bambini nigeriani reclutati da Boko Haram nel solo 2016. Circa 60mila – tra gli 8 e i 16 anni – sono stati arruolati nell’Esercito di resistenza del Signore (LRA), guidato da Joseph Cony, che intende rovesciare il governo di Kampala e sostituirlo con una “teocrazia” fondata su una personale interpretazione della Bibbia. LRA ha avuto nelle proprie fila il combattente armato più giovane al mondo, un bambino di cinque anni. Mentre Cony è ancora latitante, Dominic Ongwen, uno dei ragazzi che lui rapì a dieci anni, è sotto processo alla (CPI) per crimini di guerra e contro l’umanità. Questo è un altro effetto dell’impiego di bambini soldato. La manipolazione, la costrizione ad assistere e perpetrare violenze inenarrabili, fino all’uccisione dei propri cari e al cannibalismo, condite all’uso di droghe, fa sì che a volte follia e brutalità prendano il sopravvento. È il momento del non ritorno: il bambino-soldato è diventato un mostro.

Nella Repubblica Democratica del Congo tutte le parti in lotta hanno utilizzato fra i 23mila e i 30mila bambini – molti dei quali hanno sette anni – e continuano a farlo. Ci sono contingenti composti soltanto da bambini: circa 15mila nell’Unione dei patrioti congolesi. In America Latina, a guidare la classifica è la Colombia, con oltre 14mila bambini soldato. Ce ne sono anche in Paraguay, Ecuador, Messico, Guatemala, Salvador, Nicaragua, Perù, El Salvador. In Asia, a Myanmar, c’è l’esercito di piccoli combattenti più numeroso al mondo: circa 70mila al servizio delle truppe governative. E poi in Afghanistan, Nepal, Indonesia, Filippine, Cambogia, Timor Est, Laos, Pakistan, Sri Lanka, Nuova Guinea. Per quanto riguarda il Medio Oriente, i bambini sono stati utilizzati come soldati nel conflitto Iran-Iraq, nella guerra del Golfo e nell’ultimo conflitto che ha segnato la fine del regime di Saddam Hussein. La Palestina vede il 70% degli adolescenti impegnati nella resistenza politica all’occupazione di Israele. Negli Stati Uniti è 18 anni l’età per l’arruolamento nell’esercito, ma minori hanno partecipato a conflitti in Afghanistan e Iraq. La situazione più preoccupante in Europa è quella della Gran Bretagna, che manda regolarmente in combattimento ragazzi di 17 anni.

La diffusione delle armi leggere – circa 700 milioni nel mondo -, ha facilitato il coinvolgimento dei bambini, perché non serve molta forza per usarle. E gli attuali stati di guerra permanente richiedono un’iniezione continua di nuove reclute. La mancanza dell’istinto di conservazione fa il resto. Bambini vengono usati come scudi umani, o nei campi minati per “aprire la strada” alle squadre d’assalto. Le bambine sono invece prevalentemente utilizzate come schiave sessuali.

L’utilizzo di bambini soldato nei conflitti rientra nei crimini di guerra, quindi è di competenza della Corte Penale Internazionale. «La prima sentenza di condanna che abbiamo emanato, nel 2012, ha riguardato Thomas Lubanga, fondatore dell’Unione dei patrioti congolesi, e comandante delle Forze Patriottiche per la liberazione del Congo. Aveva ordinato massacri di matrice etnica e rapiva bambini per arruolarli», afferma la dott.ssa Arbia.

Il dato positivo è che negli ultimi dieci anni almeno 65mila bambini sono stati liberati dai gruppi armati. Qualche giorno fa, altri 250 – coinvolti negli scontri tra le varie fazioni in guerra nel Sud Sudan – sono stati rilasciati, grazie all’intervento delle Nazioni Unite. Saranno inseriti in programmi di sostegno finalizzati al superamento dei traumi dovuti alle violenze subite, e al reinserimento nella società.


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