La strage dei clochard

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Siamo alle solite. Neve e maltempo – si apprende da ogni sorta di notiziario – flagellano il Paese da Nord a Sud. Le temperature, mediamente, si aggirano intorno allo zero. Ci sono difficoltà, per ora soprattutto in Meridione, nei trasporti. Gli automobilisti, in particolare per affrontare certe strade, sono obbligati a montare pneumatici da neve o catene. Aeroporti chiusi, isole isolate. Oggi, giornata di festa, le scuole e gli uffici pubblici sono chiusi, ma domani, vedremo. Le previsioni prevedono peggioramenti. E’ l’inverno. E non facciamo le vittime: ce lo avevano anticipato che sarebbe arrivato! In ogni caso, ammettiamolo, in fondo le feste – passate come si conviene in famiglia – sono più piacevoli al calduccio, avvolti dai profumi della cucina della nonna, e immersi nell’atmosfera paesana del presepe e in quella artificiale delle luci dell’albero di Natale. Ma, a guastare questo bel quadretto, ci sono quelli che non hanno trovato di meglio che morire di freddo.

Quarantaquattro anni, senza fissa dimora – cioè senza ‘na casa – muore per assideramento ad Avellino. Originario di Visciano (Napoli) dove abitano tuttora moglie e figli, l’uomo – “un clochard” – si era trasferito ad Avellino, e da almeno tre anni viveva in un centro commerciale abbandonato del centro della città, dove è stato ritrovato, su segnalazione di un suo amico, anche lui “ospite” della stessa struttura. Un altro clochard è stato trovato morto a Messina, di fronte all’imbarcadero. Finora si sa soltanto che si tratta di un cittadino rumeno, 46 anni, pare malato da tempo. Il freddo, è quanto emerge dalle prime indagini, “deve aver aggravato le sue condizioni”. In altre parole, gli ha dato il colpo di grazia.

Di qualche giorno fa, il clochard protagonista ha anche un nome: indiano, 58 anni, si chiamava Singh Hamri. Spesso mangiava alla mensa della Caritas. Vittima anche lui del freddo, è stato scoperto dai carabinieri di Aversa, nel Casertano, avvertiti dai passanti.
Le temperature rigide di queste ultime notti hanno spento la vita anche a un clochard di Bari, trovato cadavere nella centralissima piazza Cesare Battisti, a due passi dall’Università. E a Genova, appena prima della fine dell’anno, su una panchina di piazza Petrella, nella periferia di ponente della città, è stato trovato il corpo senza vita di un romeno di 55 anni, senza fissa dimora e, sembra, malato da tempo. Milano, via Quarenghi, un mese o due fa: italiano, 53 anni. Alle 19 rifiuta l’aiuto dei City Angels e della Croce Rossa: “Lasciatemi in pace, sto bene”. Alle due, viene rinvenuto cadavere.

Poveri clochard, maledetti clochard. Li possiamo chiamare senzatetto, barboni, ma come si permettono di rifiutare il nostro aiuto? Nel capoluogo lombardo è successo che su 2637 clochard censiti, 531 hanno preferito rimanere in strada, e non hanno accettato l’accoglienza nei dormitori. Che cosa ha inoculato, nel profondo del loro essere, la vita che tutti noi affrontiamo con incosciente nonchalance? Crisi economica, solitudine, malattia, lavoro, denaro, separazione, bottiglia, freddo. Parole. Ma per alcuni, colpi di machete. Talvolta è più accettabile morire.

Si può fare qualcosa? C’è chi tenta di correre ai ripari: si aprano le stazioni del metrò, si aprano le chiese, portiamo coperte nei sottopassi. Sarà sufficiente, a fronte di un’epidemia che dilaga sempre più ma che nessuno ha ancora il coraggio di ammettere: questo mondo è di coloro che non devono chiedere e non devono ringraziare. Devono soltanto prendere.


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