Giornalismo sotto attacco in Italia

A carte scoperte

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Politica batte populismo 4-0. Quando Matteo Renzi ha mostrato le slide con i gufi mi sono quasi commosso. É questo l’immaginario semplificato del premier: da una parte gufi, che non credono alle magnifiche sorti e progressive del suo governo, sciacalli, Grillo e Salvini, dall’altra il Cavaliere senza macchia che ha svegliato la Bella Addormentata, portando il PIL dell’Italia dal meno 0,4% del 2014 (quando già Renzi governava) al più 0,8 del 2015. Però credo sia ingeneroso -e anche un modo di mettere la testa sotto la sabbia- concludere, come fa il Giornale, che sono solo “Chiacchere e distintivo”, o come il Fatto, elencare “Tutte le bugie di fine anno: lavoro, banche,PIL, scuola”. Preferisco il titolo che il manifesto prende in prestito da Checco Zanone: “Quo vado”. Perché mette il dito su incertezze, lungaggini, esitazioni della conferenza stampa, che rilevavano l’assenza di una visione del futuro.
Riforme o fallisco. Se perdo vado via. Sul referendum mi gioco tutto. Sono, nell’ordine, i titoli di Corriere, Repubblica e Stampa. Secondo me Renzi non avrebbe voluto uscire così sui giornali – se può essere un’indizio, L’Unità titola “É l’Italia che va”- ma quest’uomo, sia pure nell’immaginario semplificato e menzognero che è il suo, ha una sua certa sincerità. La lingua gli batte spesso dove il dente duole. Così, con la voce più bassa e un’aria dimessa, ieri ha detto: “Se perdo il referendum costituzionale -che si dovrebbe tenere in ottobre- considererò fallita la mia esperienza in politica”. Inevitabile che così sia.
Politica populista batte protesta popolare 4-0. Lo scrivo da molti mesi: quel referendum sarà un plebiscito. Vuoi tu, elettore italiano, continuare con Renzi in tutti i suoi stati: dal jobs act, alla riduzione del voto alla scelta di un solo uomo, passando dalla buona scuola, dalla politica degli sgravi all’impresa, ai bonus che sostituiscono rinnovi contrattuali e diritti acquisiti; vuoi sostenere un premier che dice sempre sì alla Merkel ma cerca poi di grattare quanto più può, che non bombarda in Siria come Hollande ma si prepara a mandare i carabinieri in Libia? Sì o no? Purtroppo la minoranza Pd ha detto sì, quando ha votato la riforma del Senato. E Renzi spera che dicano sì anche molti potenziali elettori dei 5 Stelle e parecchi di elettori scoraggiati. Dopo tutto manda a casa Razzi e Scilipoti. Renzi ha distratto l’odio anticasta dal governo e lo ha puntato sul Senato. Ha rottamato gli impresentabili, ridotto il Cavaliere a una comparsa, cancellato le metafore di Bersani. Poi, sulle ali del successo al Plebiscito, proverà a vincere le elezioni al primo turno, perchè al ballottaggio gufi e populisti gli si potrebbero coalizzare contro. C’è del metodo in tutto ciò.
De Gaulle o Churchill? Nel suo “Strategia del plebiscito” su Repubblica, Stefano Folli cita De Gaulle. In “La partita più insidiosa comincia ora” per il Corriere, Antonio Polito ricorda, preoccupato, “come a Churchill non bastò aver vinto la guerra per vincere le elezioni del 1945”. Di Churchill e De Gaulle ho scritto -a proposito di Renzi- già nel Caffè amaro”, un anno e mezzo fa. Non solo per dire quello che già allora era ovvio, che Renzi preparava un colpo di stato democratico -la mia politica o la rovina- ma anche per sostenere come Renzi non avesse – a differenza di Churchill e De Gaulle- una sua visione strategica, non fosse e non sia uno statista, ma solo -per dirla con Tronti- “un personaggio, non una personalità politica”. Dov’è la schiettezza del leader conservatore britannico che promise “lacrime e sangue”? Con Poletti Renzi trucca i dati per alzare le dita a V e fare il verso a Chirchill. Dov’è l’azzardo di De Gaulle che seppe ingannare i generali golpisti e chiudere l’avventura algerina, dove il coraggio di contestare -in nome di una certa idea della Francia– la guerra americana in Vietnam? Niente di tutto questo. Ma le classi dirigenti che lo sostengono, da Mieli a Politto, da Serra al management dell’Eni, sperano – ahi noi! – di fornirgliela,loro, detta visione. Più prudente Fabrizio Forquet ricorre a un Peanuts di Charles M Schulz: “Lucy domanda a Linus se nel corso dell’anno si sente cambiato e poi, dopo la risposta positiva, chiosa scettica: «Volevo dire in meglio…” Dopotutto sì, l’Italia sta vivendo una ripresina, dunque è cambiata in meglio, conclude l’editorialista del Sole24Ore. Ma forse -obietto- sta sprecando l’occasione straordinaria offerta dal crollo del costo del petrolio, dall’apprezzamento del dollaro, dal Quantitative Easing e dalla crisi dell’egemonia tedesca in Europa. Ma io, si sa, sono un gufo.

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