Sud Sudan: ucciso giornalista, il 7° in 8 mesi

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“Se i giornalisti non sanno che il Sudan del Sud ha ucciso per la sua indipendenza, è ora di dimostrarglielo”. Le parole del presidente Salva Kiir risuonano come una sentenza di morte per Moi Peter Julius, il giovane giornalista ucciso mercoledì scorso nella capitale Giuba, solo tre giorni dopo il lapidario commento del Presidente sud sudanese.

Si tratta del settimo giornalista ucciso nel Paese dall’inizio dell’anno, semplicemente perché  faceva il suo lavoro. Come James Raeth, ucciso a maggio in circostanze ancora da chiarire, e i cinque colleghi vittime di un agguato mentre viaggiavano a bordo di un furgone. Ma l’informazione è messa a tacere anche per mano diretta del Governo, che all’inizio d’agosto ha ordinato la chiusura di due quotidiani e del gruppo Free Voice, che produce spettacoli teatrali per promuovere la cultura della pace.

In questo clima, in un Paese dilaniato dai conflitti interni, la dichiarazione di Kiir è stata evidentemente intesa come una chiara minaccia ai giornalisti che “lavorano contro il Governo”.  Oliver Modi, presidente del sindacato dei giornalisti sud sudanesi (UJOSS), ha mosso un appello al Presidente affinché smentisca ufficialmente il senso attribuito alle sue parole.

Moi Peter Julius, 27 anni, scriveva per il giornale New Nation, ma aveva già lavorato per diverse agenzie e quotidiani. È stato ucciso con diversi colpi d’arma da fuoco mentre rientrava a casa da lavoro, mercoledì sera. In assenza di dichiarazioni ufficiali, dubbi e ipotesi si moltiplicano, ma la polizia avrebbe rinvenuto soldi, telefono cellulare e documenti della vittima, escludendo pertanto la pista della rapina. Secondo fonti vicine alla famiglia i killer lavorerebbero per il Governo.

Le parole di Kiir e l’omicidio a stretto giro del giovane giornalista hanno immediatamente provocato reazioni allarmate anche al di fuori dei confini nazionali. Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) “i numeri parlano da soli” e, date le circostanze generali, “la tendenza non cambierà nel breve periodo”. Più duro il segretario generale di Reporter Senza Frontiere,  Christophe Deloire, che ha definito “criminale per un Presidente minacciare di morte i giornalisti del suo Paese”.  Lo stesso allarme è condiviso anche dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che, per bocca del suo portavoce, si dice “profondamente preoccupato dai commenti di Kiir”, invitandolo a “smentire le sue parole”. Mentre la Foreign Correspondents Association of East Africa (FCAEA) ha chiesto alle autorità competenti indagini esaustive e puntuali, auspicando anche il sostegno di eventuali soggetti internazionali.

“Non è questa la visione del Paese”, ha commentato Oliver Modi dell’UJOSS, un Paese che voleva “emanciparsi dalla dittatura dei regimi di Khartoum per diventare una nazione in grado di assicurare la libertà d’espressione, la libertà dei media”.

Il Sudan del Sud è 125° su 180 Paesi nell’indice sulla libertà di stampa pubblicato a febbraio da Reporter Senza Frontiere, e risulta tra i Paesi “non liberi” secondo gli indicatori stilati da Freedom House nel rapporto Freedom in the World 2015.

 

@fama_andrea


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