L’hate speech, i nuovi fascisti e il codice penale dimenticato

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Fa bene “La Stampa” a cancellare i commenti razzisti e a bannare gli autori. Sicuramente qualcuno dirà che si tratta di censura ma non farà altro che aggiungere una sciocchezza ad un dibattito troppo spesso condizionato dalla violenza verbale diventata norma. Del resto il nostro è il paese dove è normale salutare l’elezione del sindaco della capitale con il saluto romano, dove la croce celtica diventa “simbolo religioso” e si può mostrare ed indossare al pari di una svastica, dove il reato di apologia del fascismo è considerato solo un ricordo del passato anche da buona parte della sinistra. Non sappiamo e non vogliamo più dare il nome giusto alle cose in nome di quella pacificazione che ci ha costretto a ricordare la storia in modo parziale, dimenticando, ad esempio, la collaborazione e la partecipazione dei fascisti italiani alle stragi perpetrate dai nazisti in fuga come a Sant’Anna di Stazzema.
Abbiamo memoria corta e grande disponibilità a concedere spazio all’apologia come alla istigazione all’odio e alla violenza. Guardando i sommari di questi giorni dei giornali e dei telegiornali scopriamo che sono i vescovi gli unici a prendere posizioni politiche nette contro il delirio di Salvini e Grillo in tema di migrazioni, i piazzisti da quattro soldi che speculano sulla paura. Scopriamo anche che il dibattito politico e la cronaca non vengono messi in relazione. Scopriamo che la notizia dell’ennesimo ambulante aggredito dal branco non si lega con la violenza di chi parla della “necessità di respingere”, dell’Italia “che non ce la fa più”, dei “soldi dati agli immigrati e non agli italiani”. Ma è davvero così distante e senza connessione con l’attuale dibattito politico la notizia di un ambulante pakistano derubato, pestato a sangue e preso a bottigliate da un branco di dieci persone (comprese due donne) sul lungomare di Bari? È davvero slegata dal contesto una notizia del genere se racconta la terza aggressione razzista con tentato omicidio nell’arco di pochi giorni? Con anche il tentativo di affogare uno dei tre ambulanti, un ragazzino arrivato dal Gambia prima provocato e poi bastonato?
L’abbiamo già viste all’opera le nuove squadracce che fatichiamo a chiamare fasciste per uno stupido pudore. L’avevamo viste a Tor Sapienza a Roma assaltare un centro per minori, poi a Casale San Nicola o a Treviso dove il saluto romano e le bottigliate hanno accolto i pullman con i rifugiati. E questa non è una reazione normale a quella che i “piazzisti da quattro soldi” chiamano “l’insofferenza degli italiani che non ce la fanno più”. È una manovra precisa, politica, che ha un obiettivo politico e conseguenze devastanti. È questa modalità a creare l’insicurezza che i piazzisti pretendono di voler difendere. Un meccanismo perverso che invoca la ruspa o il respingimento e produce la squadraccia, la legittima.
Sul web quella violenza si manifesta senza pudore, nascosta spesso da un nome fittizio, da una croce celtica, da un saluto romano, da una svastica. Fa bene “La Stampa” a cancellarla, a negarne la legittimazione. Dovremmo anche ricordare che di reato si tratta, l’apologia del fascismo come l’istigazione al razzismo. Non è libertà di pensiero è roba da codice penale.

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