Accordo con l’Iran: la discussione rimossa

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Al fondo dei fondi del dibattito sull’accordo con l’Iran c’è una discussione: a Tehran esiste un regime o ce ne sono due? Obama sembra convinto che siano due. Ma forse…

La discussione sullo storico accordo tra gli Usa, gli europei, la Russia e l’Iran viene presentata dai più come una discussione sull’accordo tra Usa e Iran. Indubbiamente il punto sembra qui. Il Grande Satana e il paese degli ayatollah hanno trovato la via d’uscita a una disputa che non comincia certo con il nucleare. E’ così? Un po’ sì e un po’ no.

La disputa tra Usa e Iran è stata per tanti decenni il cuore delle opposte retoriche, degli opposti imperi del male. Può essere un male che vada in soffitta? Qui vediamo però che gli Stati Uniti, l’amministrazione Obama, non parlano tanto in termini bilaterali, quanto in termini mediorientali. Viene sovente ribadito infatti che questo accordo consentirebbe alla Casa Bianca di lavorare a una stabilizzazione dell’area. L’Iran diventerebbe cioè forza stabilizzatrice una volta riammessa nel salotto buono dopo essere stato una forza destabilizzatrice perché confinata nello sgabuzzino dei cattivi. Tanto che qualcuno ha fatto un parallelo con il disgelo con Cuba.

Ma se il regime di Cuba rappresenta un’ideologia che non ha più referenti nel mondo globalizzato e quindi, pur rimanendo un regime, è lecito presumere cercherà nuove alleanze e nuovi terminali, l’Iran resta una teocrazia che ha lanciato, con il “governo del giureconsulto una sfida per la guida dell’Islam. Il suo rapporto con lo sciismo è forte e ufficiale e nel Medio Oriente oggi quella che è in gioco è una guerra tra superpotenze che si avvalgono del loro ruolo o peso religioso per giustificare il conflitto come religioso: in primis sunniti contro sciiti.

Una delle evidenze dell’oggi è che questo conflitto viene combattuto lungo il crinale confessionale e poi etnico. Gli stati sono falliti, è rimasto solo in confessionalismo. Il destino così appare atroce: deportazioni di massa, pulizie etniche, per riorganizzare nell’omogeneità confessionale ed etnica il territorio, conquistando territori o corridoi che li leghino in “imperi ufficiosi”. Da questo punto di vista gli sciiti, essendo stati una minoranza vessata per secoli nel mondo arabo-sunnita, hanno manifestato nel passato un revanchismo considerevole ed evidente. Ma è anche vero che soprattutto in Iraq e Libano lo spazio per una manifestazione politica non teocratica sciita è stato tarpato proprio dall’Iran e dalle milizie ad esso connesse, come dimostra la sofferenza dell’ayatollah anti teocratico iracheno, al Sistani, la sempre più marcata confessionalizzazione di Hezbollah e soprattutto il suo ruolo di milizia “iraniana” anti-sunnita in Siria.

In questo contesto la stabilizzazione rischia di essere la stabilizzazione del conflitto: in Siria, in Iraq, in Libano, nello Yemen. In tutti questi teatri bellici l’Iran è intervenuto militarmente con milizie khomeiniste locali , in alcuni casi con diverse di esse, locali e chiamate da altri paesi, e sotto la regia dei pasdaran. Adesso?

Qui interviene il vero interrogativo sull’accordo e la sua finalità “stabilizzatrice”. Diciamo così: “in Iran esistono due regimi, quello di Rohani e Rafsanjani da una parte e quello di Khameni e dei pasdaran dall’altra? O ne esiste uno solo?”

Sin qui il mondo ha mostrato di credere che ne esitano due. L’enormità della spesa per l’export bellico iraniano in Iraq e Siria dimostra che Khameni e i pasdaran, anche nelle condizioni date, preferivano affamare il proprio popolo pur di perseguire la propria agenda. Ora molti si dicono certi che l’altro regime investirà i fondi sbloccati dagli accordi per alleviare il malessere interno e ritrovare il consenso.

Ad altri sembra un’analisi o una speranza naive. Un regime totalitario e religioso (e a differenza delle ideologie le religioni non vanno mai in pensione), che ha eseguito centinaia di condanne capitali solo negli ultimi anni, che ha i leader delle opposizioni politiche al tempo di Ahmadinejad ancora in galera, difficilmente potrà trovare consenso solo per un miglioramento del conto economico interno. Il quadro dei diritti umani in Iran non è mai stato sollevato in questi mesi, né quello dei regimi ad esso alleati. E sembra difficile che tutto questo il regime, o i due regimi se esistessero, non lo sappiano: dovrebbe cambiare natura il regime iraniano per trovare consenso. Vedremo.

E’ evidente però che una sorta di sunnofobia dà all’Iran l’arma di pensare che proprio l’instabilità regionale è la sua forza. Tutto sommato il terrorismo sunnita si è mostrato in tutta la sua oscenità mentre quello sciita ha fatto di tutto per rimanere nascosto ai nostri occhi, ma i fatti iracheni e siriani dimostrano che non è da meno. E allora il progetto dell’imamato potrebbe apparire improvvisamente la “cura” per un mondo islamico finito fuori controllo. Gli stati falliti fallirebbero definitivamente e ci sarebbe solo l’appartenenza confessionale a governare territori e alleanze. Le deportazioni di massa, gli spostamenti di milioni di persone, non si fanno certo per caso.. Una pacificazione tra sunniti e sciiti appare la sola ipotesi stabilizzante nel senso sano della parola. Ma questo accordo sul nucleare e non sulla cittadinanza uguale per tutti in Stati pluriconfessionali l’avvicina? O l’allontana?


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