“Vogliono togliere al cittadino la garanzia di una giustizia giusta”

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L’Anm (associazione nazionale magistrati) ha proclamato lo stato di mobilitazione e ha indetto per il 17 gennaio 2015 la “Giornata della Giustizia”, quando verranno aperti i Tribunali alla cittadinanza per l’approfondimento degli effetti distorsivi prodotti dalla riforma in materia di responsabilità civile dei magistrati e per una comune riflessione sulle condizioni di svolgimento dell’attività giudiziaria. Tutto questo perché tra pochi giorni verrà discusso alla Camera il testo, già approvato dal Senato, di riforma della legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati. “Sono in gioco – spiegano dall’Anm – principi non negoziabili, che garantiscono non soltanto l’indipendenza e la terzietà del magistrato, ma la tenuta e l’efficienza del sistema giudiziario”. In questi giorni si sono tenute diverse assemblee all’interno dei Tribunali. La sottosezione dell’Anm di Trapani -che ha eletto nell’occasione presidente il giudice Samuele Corso e come segretario il giudice Fiammetta Lo Bianco – ha chiesto ai propri vertici nazionali ulteriori segnali.

La sola giornata di protesta per il 17 gennaio non basta. Si denuncia come nelle periferie d’Italia si avverte già una sorta di “aria di rivalsa” che si apprestano a fare i cosidetti “poteri forti” contro chi amministra giustizia: “Invitiamo – dicono i giudici Corso e Lo Bianco – i vertici dell’ANM ad assumere iniziative di mobilitazione adeguate alla posta in gioco, ritenendo l’indizione della Giornata per la Giustizia per il 17 gennaio 2015 insufficiente a rappresentare i rischi per il sistema giudiziario derivanti dall’approvazione della riforma della responsabilità civile dei magistrati”. L’Anm va diritta al problema e spiega: “Proprio nel momento in cui la magistratura ha smascherato un sistema criminale radicato anche nelle Istituzioni romane, la riforma della responsabilità civile dei magistrati ha il sapore di una rivalsa dei poteri forti. Agli osannanti proclami di lotta alla corruzione e al crimine organizzato la politica risponde con un’azione punitiva verso la magistratura. Gli effetti gravemente distorsivi della riforma implicano che i magistrati saranno in balia di timori e condizionamenti e la qualità delle decisioni sarà compromessa.

L’ipotesi indeterminata e pericolosa del “travisamento del fatto o delle prove” impedirà qualsiasi decisione serena e libera. Il coinvolgimento del magistrato nell’obbligatoria azione di rivalsa comporterà incompatibilità a cascata con inevitabili effetti di arretramento ed immobilismo dell’azione giudiziaria. In definitiva sarà sufficiente intraprendere un’azione di responsabilità per scegliere il magistrato che più aggrada per il proprio processo e per ammonire i giudici che in futuro dovranno occuparsi del caso. Bisogna dire NO a norme punitive per i magistrati”.

Ma è evidente che l’Anm con questo intervento parla anche al proprio interno, a certe derive che sono presenti dentro al mondo della magistratura, se si pensa, come lo si pensa, che ci può essere un magistrato disponibile a risultare più gradito rispetto ad altri. Una affermazione che forse non a caso arriva dalla sottosezione di Trapani, dove il lavoro di magistrati e giudici negli ultimi tempi è stato oggetto di pressioni e intimidazioni, anche pubblicamente denunciate.  In un clima non sempre unitario all’interno dello stesso mondo giudiziario trapanese. Il Palazzo di Giustizia di Trapani oggi affronta un carico di lavoro non indifferente, se si pensa solo ai procedimenti in corso dinanzi alla sezione delle misure di prevenzione dove si stanno raccogliendo giorno dopo giorno i fascicoli dei sequestri e delle confische a danno del boss Matteo Messina Denaro, livelli di sequestri e confische che sono arrivati oramai a toccare i 3,5 miliardi di euro. Storicamente dall’esterno c’è stato sempre chi, tra mafia borghese e massoneria, ha cercato di “inquinare” il lavoro della magistratura trapanese (basta ricordarsi alla Stella d’Oriente o alla loggia Iside 2), grazie anche ad apporti e complicità interne.

A sentire alcune voci del Palazzo di Giustizia di Trapani questi tentativi non hanno mai smesso di esistere, anzi oggi sono tornati a farsi avvertire. Se la “politica trapanese spesso non rispetta la distanza di sicurezza dalla mafia, stessa cosa forse si può dire a proposito di magistrati e giudici…e anche avvocati. Un clima questo che ha anche schiacciato il lavoro dell’informazione. Capita infatti che i giornalisti non ricevano nella buca delle lettere le “veline” della Procura ma semmai trovino le “veline” degli avvocati difensori dei mafiosi. E’ perciò quella in corso una crisi che a cascata tocca la magistratura e il circuito dell’informazione. Al cittadino non si vuole garantire giustizia, e si vuole negare anche l’informazione.


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