Giornalismo sotto attacco in Italia

La ‘ndrangheta e i casalesi

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Nei giorni scorsi gli episodi che riguardano la storia di due personaggi importanti come il capitano siciliano Giuseppe Russo ucciso da Cosa Nostra il 20 agosto 1977 mentre continuava a fare indagini sul “mistero” della morte del fondatore dell’ENI Enrico Mattei e del capo del Clan dei Casalesi, Giuseppe Setola, che si è attribuito di recente 46 omicidi e, in questi ultimi anni, ha seminato il terrore nel Casertano e infine la pesante condanna la ‘Ndrangheta in Piemonte che si è conclusa con un se colo di condanne a quella che è stata definita la “terza generazione “, i dodici ‘ndranghetisti calabresi  che han no costituito gli imputati di Colpo di coda, l’ultimo pro cesso per i calabresi dopo le operazioni Crimine, Mino tauro, Albachiara ed Esilio  che avevano inferto già colpi decisivi contro il network mafioso dominante nell’ex capitale sabauda e nelle ricche provincie del progredito ex  regno di Sardegna. E non c’è dubbio che il processo di Torino che arriva dopo anni di indagini e precedenti processi è l’episodio più importante tra i tre appena citati.  “Colpo di coda” è il proseguimento di “Minotauro” che tre anni fa, nel 2011, aveva rivelato la presenza centrale della ‘ndrangheta a Torino e nelle provincie piemontesi.

I carabinieri, a loro volta, approfondendo il tentativo di infiltrazione-peraltro riuscito-di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione comunale di Chivasso hanno scoperto altri da sospettare. Ma, secondo la difesa, non erano emersi riti di affiliazione né riunioni e sembrava che le prove per il processo fossero difficili da mettere in campo. Era emersa soltanto la “colletta” fatta per raccogliere denaro da inviare a quelli arrestati tre anni fa. Ma indagini successive già il giudice per l’udienza preliminare Roberta Vicini aveva condannato un anno fa sei indagati e gettato ombre su alcuni politici piemontesi collegati con loro. C’è un documento storico che dimostra come e quando avvenne il trasferimento di un gruppo di ndranghetisti in Piemonte e i vincoli di sangue tra i condannati di oggi ed esponenti calabresi dell’organizzazione mafiosa vissuti quasi un secolo fa . E’ una sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria datata 1934 e trovata dal pubblico ministero di Messina Sparagna nell’archivio di Stato della città siciliana.

La ricerca fatta in archivio ha potuto accertare fatti che si riferiscono a quegli anni e che permettono di ricostruire in maniera completa una vicenda del rione Armo di Gallina. Qui l’organizzazione mafiosa chiedeva “lire cinque per ogni discarica di piroscafo” e per allontanare uno ‘ndranghetista rivale che aveva chiesto il pizzo in quella zona, il gruppo passa alla riscossa ,rapina l’avversario di 85 lire e gliene rende 5 perché “il forestiero non va mai lasciato senza sol di” così che possa andarsene. Ma lo “straniero” insiste e allora viene ucciso.  Si tratta di una rivelazione che consente di ricostruire una storia importante sull’arrivo al Nord di un’associazione, quella calabrese, che a poco a poco conquisterà nella regione subalpina un’innegabile egemonia. Quanto alle altre due vicende, quello di Russo è stato senza dubbio uno dei primi delitti eccellenti ma pur dopo  l’attribuzione del delitto ai vertici di Cosa Nostra non sono ancora chiare le ragioni dell’assassinio e le indagini ora riprendono. Quanto all’altra vicenda che riguarda il gruppo di fuoco dei casalesi di cui era a capo Setola, qui si tratta di un tentativo di trattativa, o meglio di qualcosa che è legato alla complessiva storia della trattativa tra mafia e Stato negli anni settanta che avrebbe a un certo punto coinvolto anche i camorristi del Casertano con l’arrivo di cinquanta chili di tritolo da utilizzare per attentati contro magistrati, esponenti delle  forze dell’ordine e giornalisti. E anche qui nella vicenda comparirebbero agenti dei servizi segreti.

Il tutto è ancora avvolto in un seguito di se ma che la vicenda ci sia stata e che sia necessario accertarla: di questo non dubitato i magistrati napoletani che hanno ora ripreso le indagini. Le tre vicende consentono, a mio avviso,  di smentire le sciocchezze che ogni tanto appaiono persino sui giornali o nei canali televisivi e che parlano di mafie allo sbando, di una sconfitta delle associazioni mafiose e di una vittoria indiscussa dello Stato e quindi della società italiana. Sono costretto per ora a dubitarne.


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