Caro Renzi, così proprio non va

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Presidente Renzi, così proprio non va. Perché lei può continuare a dire quello che vuole, ad accusare chiunque osi dissentire o mettere in dubbio le sue riforme e il suo progetto politico di essere un “gufo”, un ‘”rosicone”, un “disfattista” ed epiteti della stessa natura, così come può continuare a gioire e festeggiare per la vittoria di Pirro che sta per ottenere al Senato, ma sull’economia non si scherza e questo lei lo sa molto bene. E lo sanno anche Cottarelli e Padoan, con i quali, non a caso, pare che i suoi rapporti non siano proprio idilliaci, per il semplice motivo che, da veri esperti della materia, le hanno fatto più volte presente che un conto è la propaganda e un altro è l’azione di governo: in campagna elettorale si può promettere quel che si vuole, si può raccontare ogni sorta di favola, ma poi arriva la sfida di Palazzo Chigi e allora alle parole devono seguire i fatti, altrimenti il capitale di fiducia di cui qualunque esecutivo gode nei primi mesi di vita si dissolve alla velocità della luce. Ed è esattamente questo ciò che sta accadendo: la fiducia degli italiani si sta assottigliando, per questo lei è così nervoso e continua a rilasciare interviste nelle quali se la prende con l’universo-mondo per coprire il rumore assordante di quello che somiglia sempre più a un fallimento.
Perché lei non è un ingenuo, tutt’altro: sa benissimo come stanno le cose, solo che non lo può ammettere. Lei è andato al governo defenestrando Letta per paura di perdere le Europee ed essere indebolito nella carica di segretario, nonché di veder messe in discussione le sue “smisurate” ambizioni, e ha varato un esecutivo complessivamente inadeguato per assecondare alcune delle pulsioni populiste più in auge, quali il desiderio di un rinnovamento della classe dirigente e la giusta battaglia per un maggior coinvolgimento delle donne ai vertici delle istituzioni; dopodiché, non avendo una visione e un programma a lungo termine in grado di raddrizzare una nave che continuava a imbarcare acqua da tutte le parti, si è lanciato in una serie di riforme improvvisate e dannose, arrivando addirittura a mettere le mani sulla Costituzione per mezzo di un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta del dicembre scorso che ha sancito l’incostituzionalità della legge elettorale con la quale è stato nominato. A tal proposito, ha pensato bene di accordarsi, prima e dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi, con il principale responsabile della maggior parte dei disastri italiani, fra cui la crisi economica e il degrado morale devastante nel quale siamo immersi, per riscrivere una legge elettorale che è l’elevazione al cubo del Porcellum, dunque a sua volta a rischio di incostituzionalità e pericolosissima per la credibilità e la tenuta delle istituzioni. Infine, è passato come un rullo compressore sopra tutti coloro che le facevano notare che questo nuovo Senato, oltre ad essere un pastrocchio, non ha alcun senso e, pertanto, sarebbe meglio abolirlo e convertirsi a un monocameralismo vero, regolato da un serio sistema di pesi, contrappesi e garanzie costituzionali, al solo scopo di piantare la bandierina entro l’estate e poter strillare ai quattro venti che questa “è la volta buona”, che l’Italia sta cambiando e altre amenità, perfette per la propaganda elettorale permanente nella quale lei nuota come un pesce ma assolutamente inutili per far ripartire un Paese ormai ridotto alla disperazione.
Peccato, presidente Renzi, che in tutta questa furia riformista si sia dimenticato delle uniche riforme di cui avrebbe bisogno l’Italia, ossia lavoro, fisco, burocrazia e Pubblica Amministrazione, scegliendo, anche in questo caso, di affidarsi a dei surrogati di pessima qualità come il Decreto Poletti sul lavoro, giustamente trascinato dalla CGIL davanti alla Commissione europea, in quanto in netto contrasto con la disciplina europea secondo cui bisogna prediligere i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato, e il Decreto Madia sulla Pubblica Amministrazione che, oltre ad essere gravemente penalizzante per lavoratori e dirigenti, per fortuna è ancora nella fase iniziale, mancando la legge delega e, ovviamente, i decreti attuativi. Per quanto riguarda fisco, burocrazia e giustizia civile, poi, siamo ancora agli annunci e alle linee guida, aggravati dall’interessamento di Berlusconi che, quando sente parlare di giustizia, si illumina, coltivando il sogno, neanche troppo recondito, che qualcuno riesca a varare le riforme che, grazie a Dio, i presidi democratici di questo Paese sono sempre riusciti ad impedirgli di condurre in porto.
Purtroppo, però, alla fine i nodi vengono al pettine, le lune di miele finiscono e la generosa fiducia che gli italiani le avevano accordato comincia a dissolversi sotto i colpi di dati economici agghiaccianti che ci dicono chiaramente che il Paese è in recessione (-0,2 per cento, stando alle stime dell’ISTAT), che gli 80 euro non hanno sortito alcun effetto, anche perché elargiti con troppa fretta per assicurarsi il 40,8 per cento alle Europee, senza tener conto del fatto che o li si finanzia in deficit, sforando il famoso tetto del 3 per cento, o saranno ampiamente riassorbiti dai tagli di spesa e dagli inevitabili aumenti di tasse dell’autunno, e, infine, che questa misura sacrosanta ma sbagliata nei modi e nei termini ha mandato in tilt tutti i conti, prefigurando una Legge di Stabilità “monstre” che finirà con l’aggravare ulteriormente la crisi e, di conseguenza, lo sconforto di chi davvero non ce la fa più. Se a tutto questo aggiungiamo il probabile rialzo entro l’anno dei tassi d’interesse, oggi abilmente “drogati” dai banchieri centrali delle due sponde dell’Atlantico, e il quasi certo aumento dello spread, a sua volta tenuto saggiamente sotto controllo dalla BCE, ammetterà che il suo governo è in notevole affanno, avendo delegato ad altri i propri compiti e non essendosi rivelato all’altezza di una situazione per fronteggiare la quale occorrono competenze e qualità straordinarie, non una ridda di annunci e continui assalti contro chiunque si permetta di farle notare quest’ovvietà.
Pertanto, se davvero è uno statista e ha a cuore le sorti del Paese, sarebbe opportuno che passasse rapidamente la mano, prima di rendersi responsabile del tracollo definitivo di una Nazione allo sbando.


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