Ciro Esposito, un ragazzo rimasto vittima della “guerra delle curve”

0 0

Ciro è morto.

Il ragazzo tifoso del Napoli è tornato in una bara nella sua Scampia, salutato come eroe, perché il suo quartiere dice che è stato ammazzato per aver salvato donne e bambini. E’ una pietosa bugia a cui tutti fanno finta di credere per dare un qualche senso a questa assurda morte.
In realtà, di donne e bambini non se ne vedono nei filmati degli scontri dove è morto Ciro.  Si vedono invece i soliti  tifosi, che ogni domenica vanno allo stadio per giocare alla “guerra delle curve”, organizzati militarmente in brigate, falangi, commando. Poi, c’è anche la partita. Ma per questi “guerrieri”, l’adrenalina sale solo negli “incidenti”. E nei riti dionisiaci di distruzione di treni, autobus, arredo urbano. Ciro non è stato un eroe, ma un ragazzo rimasto vittima della “guerra delle curve”, che somiglia sempre più a quella vera, adesso che oltre a bastoni e catene, spuntano le pistole.
Ma questo odio è tollerato ed anche alimentato, perché muove un business enorme. I commentatori non dicono che una squadra ha vinto, ma che ha “umiliato” l’altra; e se ha perso, gridano al “furto”. Così aggressività e risentimento tengono alta la tensione, l’audience e il valore dei diritti televisivi.
Possono fermare tutto questo le civili parole di dolore della mamma e la fidanzata di Ciro? Difficile, ma solo la “smilitarizzazione” delle tifoserie  darebbe un senso a questa morte. E allora sì, che vedremmo donne e bambini negli stadi. Come direbbe Brecht: beato lo sport che non ha bisogno di eroi.

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21