Italicum-Porcellum, questione morale e Italica. Per proseguire il dibattito dopo l’appello

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Ho aderito all’appello dei/delle giuristi/e “Italicum peggio del Porcellum, fermatevi”, che evidenzia bene i vizi di una ipotesi di legge elettorale che disattende ampiamente le indicazioni fornite dal Giudice delle Leggi con la sentenza sulla legge Calderoli. Una soglia di sbarramento sui generis (non ne troviamo una simile in nessun paese europeo), un premio di maggioranza sbalorditivo che contraddice l’art. 48 Cost. sul voto “personale ed uguale, libero e segreto”, rendendo voti “più uguali” degli altri, la ratio del testo base che prevede l’assenza delle preferenze sono questioni fondamentali su cui si sofferma la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 e che non vengono minimamente tenute in considerazione nell’ipotesi di legge elettorale chiamata al passaggio in aula.

Ne è sintomatico il contesto: l’approdo in aula avviene dopo una scarsa scrittura partecipativa di una legge così importante per il nostro Paese e ne è un segnale lo scarso numero di persone audite. Il tutto in un contesto in cui il ruolino di marcia, lungi dall’essere il desiderio di dare attuazione in tempi immediati al dettato costituzionale dopo la summenzionata sentenza, si è rivelato una morra cinese e cinica fra leader.
Ma proseguendo il dibattito non si può non parlare di altri due importanti temi: la questione morale relativa all’accesso alle cariche elettive e l’art. 51 della Costituzione sul principio delle pari opportunità.

Dal primo punto di vista, il testo appare assolutamente insufficiente sulle cause di ineleggibilità: l’imparzialità nell’esercizio delle cariche pubbliche ed il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. vanno assolutamente garantite con l’ineleggibilità di chi gestisce società controllate e  società collegate aventi a vario titolo legami con lo Stato, anche tramite congiunti/e ed è in grado di minare la libertà di voto degli elettori e delle lettrici da questa posizione dominante.

La Corte dei Conti dovrebbe avere inoltre poteri di controllo anche sul bilancio preventivo delle spese elettorali, oltre che su quello consuntivo. Ultima ma non ultima, la questione della parità di genere, un elemento importante, attuativo dell’art. 51 Cost., Il cui pieno rispetto in caso di liste di liste bloccate corte richiederebbe non solo l’alternanza di genere nelle candidature, ma anche l’alternanza uomo-donna dei/delle capilista. Ogni altra ipotesi non darebbe degna attuazione al dettato costituzionale, che è precettivo e non meramente programmatico. Fermo restando che non basterà la migliore delle leggi elettorali sulla parità di genere e che a tale riguardo, oltre all’attuazione della Costituzione, è necessaria una profonda opera di autoriforma delle forze politiche.

In conclusione, è bene che la nuova legge elettorale rispetti la Costituzione e quanto statuito dalla Consulta e riformi in maniera corretta la L. 270/2005, non introducendo un nuovo testo parimenti viziato da dubbi di costituzionalità. Sennò le porte della Corte, in via XXIV maggio a Roma, ci risulta, sono e saranno sempre aperte.


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