L’8 gennaio 1993 veniva assassinato il giornalista Beppe Alfano. Da Trapani a Messina e viceversa, per cancellare segreti e misteri di mafia

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-ARTICOLO21 – (CIRCOLO DI TRAPANI)  Oramai nessuno può dire di non avere compreso. Dovremo avere tutti capito. I delitti, le stragi, gli omicidi dei giornalisti, sono stati conseguenza terribile di una stessa strategia mafiosa, “il controllo del territorio” da parte delle mafie. Non sono state reazioni a singoli comportamenti, non sono state solo vendette, punizioni, la necessità di eliminare persone scomode, impossibili a persuadere a star zitti, a compromettersi, ma una meticolosa marcatura delle nostre città, paesi, segnati dal rosso sangue di tanti morti ammazzati. E non è un caso che oggi ci ritroviamo a chiedere verità e giustizia per  efferati crimini rimasti non spiegati, sono stati condannati i colpevoli, mandanti, esecutori, ma le ragioni di numerosi crimini continuiamo a non conoscerli. Svelare i moventi significa sollevare il coperchio ad un “vaso di pandora”. Ce lo ricorda oggi Sonia Alfano a proposito dell’omicidio del padre, il giornalista Beppe Alfano, assassinato l’8 gennaio di 21 anni addietro nella messinese Barcellona Pozzo di Gotto. Collaborava con il quotidiano La Sicilia: “Ricordiamo mio padre – dice Sonia Alfano –  ma soprattutto, ancora una volta, chiederemo verità e giustizia. Sebbene qualche passo avanti nelle indagini sia stato compiuto, noi  stiamo ancora aspettando tutta la verità e lotteremo con tutte le nostre forze per averla. Non è un diritto soltanto nostro, ma di tutti coloro i quali credono nella giustizia. E’ un diritto di tutti i cittadini onesti”. Sono le stesse parole che dall’altra parte della Sicilia, a Trapani, ma anche altrove, che dicono altre donne, come Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime della strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985, o ancora i familiari dei carabinieri Apuzzo e Falcetta barbaramente assassinati all’interno della stazione di Alcamo marina il 27 gennaio del 1976, ed ancora Marene, Silvia ed Elena Ciaccio Montalto, figlie del magistrato Gian Giacomo ucciso a Trapani il 25 gennaio del 1983, oppure Chicca Roveri, Maddalena e Monica Rostagno, la compagna e le figlie di Mauro assassinato il 26 settembre del 1988, oppure Liliana Riccobene la vedova di Giuseppe Montalto, l’agente di polizia penitenziaria assassinato il 23 dicembre 1995, una morte la sua come “regalo di Natale” ai boss detenuti da parte dei mafiosi liberi. Verità e giustizia. Una richiesta che si ripete continuamente. Ci sono stati delitti serviti a marchiare con il fuoco il territorio e delitti che hanno colpito i giornalisti, i cronisti che hanno cercato di far luce, hanno cercato di raccontare. Alfano a Messina e prima di lui Rostagno a Trapani, sono state vittime della mafia. Prima di loro Cosimo Cristina, Giuseppe Spampinato, Mario Francese, Pippo Fava, Mauro De Mauro, Peppino Impastato, per ricordarne alcuni. Dopo i delitti sono arrivate le intimidazioni, cronisti come Lirio Abbate costretto ad andare via dalla Sicilia, inseguito a Roma ancora dalle mafie che lo vogliono zittire. Altri restano, resistono. Per loro le intimidazioni, le querele temerarie.

Oggi le mafie sono potenti. Ricche di denaro e protette da collusioni, lo sforzo dello Stato a tutto campo dopo le stragi del 1992 si è via via spento, affievolito. La “trattativa” vuol riprendere il sopravvento. La “trattativa” c’è stata sempre, a cominciare da Portella della Ginestra, per continuare con il delitto del bandito Giuliano in quel cortile di Castelvetrano di via Mannone, il 5 luglio del 1950, e poi ancora attraverso tantissimi altri episodi. Paradossalmente mentre Cosa nostra appare priva di vertici, di uomini, tantissimi sono quelli in carcere, in realtà è più forte di prima. Comanda oggi la nuova Cosa nostra, quella di Matteo Messina Denaro, latitante da 20 anni, la mafia dei colletti bianchi, dell’area grigia, non ci sono più punciuti, non ci sono più coppole e lupare, ma fedelissimi, e non solo parenti del boss, che vanno in giro in grisaglia e con le 24 ore piene di soldi per…corrompere, comprare voti, creare imprese. C’è un’altra mafia che già c’era, stava dietro le quinte, mentre c’erano i killer di Cosa nostra a fare il lavoro sporco, sicari in giro a uccidere e piazzare tritolo sotto le autostrade, come a Capaci, o sulle strade cittadine, come a Pizzolungo. I killer che faceva da service ad altri poteri.

Oggi le mafie sono potenti ma non trovano più strada facile per prevalere. Da Trapani a Messina e viceversa. I cittadini non vogliono più restare deboli e silenziosi, vogliono reagire. Reagiscono. A Trapani venerdì prossimo, 10 gennaio, promossa da numerose associazioni (ci siamo anche noi di articolo 21, assieme a Libera) si svolgerà una “agorà”, testimonianze di solidarietà e impegno, tanti chiederanno verità, giustizia, impegno serio, tutela dei magistrati, difesa della bellezza del territorio, chiederanno che i mafiosi, i collusi, i corrotti, i falsi, i bugiardi, gli ipocriti, vadano via, non stiano dentro le istituzioni. Cittadini che chiederanno una informazione vera, non ispirata, giornalisti senza il bavaglio e le autocensure. Cittadini che pretenderanno una informazione onesta, sia che venga dal servizio pubblico sia che venga dai network, piccoli e grandi, privati.

Si stanno facendo poche ma importanti cose. Basta alla lotta alla mafia come circolo mediatico, basta alle riforme che hanno più il sapore di un regolamento di conti che qualcosa di serio e veramente utile, pensiamo a quelle della giustizia, dell’informazione, alle riforme delle istituzioni. Evviva il populismo ma quello autentico, non quello che si è trasformato in chiasso, qualunquismo, ricerchiamo quel populismo che si chiama così perché prevede che la politica si muova ascoltando il più debole e lo aiuti, che punti a migliorare le condizioni di vita di tutti, a cominciare dalle classe meno abbienti, e non di pochi.

Che c’entra tutto questo con la lotta alle mafie? C’entra, eccome. C’entra perché la lotta alle mafie la si fa anche affermando i principi della democrazia, della libertà, dell’eguaglianza, davanti alla legge, davanti alle istituzioni libere che devono decidere e deliberare, applicando la regola costituzionale dei diritti e dei doveri, garantendo l’applicazione dell’articolo 21.
Oggi da Barcellona Pozzo di Gotto a Trapani è questo quello che viene chiesto. Ed è questo quello che Noi di articolo 21 chiediamo.

Il punto nella lotta alle mafie? C’è chi pensa ancora che tra mafia e antimafia possa esistere una posizione terza. Ci sono politici e uomini delle istituzioni che non dovrebbero stringere le mani di altri politici e di altri uomini delle istituzioni, che non mantengono la distanza di sicurezza dalle mafie. Ma ci sono tanti cittadini che hanno cominciato a tifare, non stanno più silenziosi sugli spalti, aggrediscono i mafiosi. Lo possono fare con le parole, ed è già buona cosa. Stanno dalle parte di chi viene intimidito per il suo lavoro serio. Non restano in silenzio dinanzi a quei pezzi dello Stato che restano come guardinghi invece di agire. Cittadini che hanno deciso di cancellare quello che una volta era un diffuso senso del rispetto (secondo le regole di mafia) ad ogni costo nei confronti del potente.

Non ci sono altre ricette per venire a capo dei misteri e dei gialli del nostro Paese. Solo questi comportamenti che più generali diventeranno maggiori garanzie potranno essere date perché certi vasi di pandora non restino ancora con i coperchi ben saldati. E che altri vasi di pandora possano essere nel frattempo riempiti.


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