Mezze scuse, grandi applausi. Caffè del 6 novembre

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La sentenza è scritta come su una lapide: “Il Pd salva la Cancellieri”. Prima pagina de la Repubblica. E lo fa per convenienza politica, “Ora Letta si gioca il tutto per tutto: proveranno a farci cadere, ci basta resistere fino a gennaio”, Repubblica a pagina 3. Il Corriere finge di non infierire sul Pd e titola: “La maggioranza salva Cancellieri e il governo”.

Annamaria Cancellieri mi è parsa migliore del Governo e delle Larghe Intese che lo sorreggono. Non mi ha convinto ma sono pronto a riconoscerle l’onore delle armi. Nel suo discorso in senato è stata diretta. Ha spiegato nei dettagli gli interventi dei medici, dei giudici, dei dirigenti del dipartimento penitenziario che hanno portato alla scarcerazione di Giulia Ligresti. Per dire che la sua segnalazione, come tante altre che ne ha fatte, non è stata pressione né raccomandazione. L’amministrazione ha proceduto in piena autonomia, come per la verità sostengono tutti gli attori di questa vicenda, a partire da Giancarlo Caselli.

Ha ammesso l’amicizia, “sono stata e sono amica di Antonino Ligresti”, ma ha aggiunto “in nessun caso la mia carriera è stata influenzata” (da questo). Il Fatto oggi sostiene il contrario, citando una frase (per la verità imprecisa e da riscontrare) detta ai giudici da Salvatore Ligresti. “Raccomandai la Cancellieri a Silvio”. (Perché ottenesse un incarico non lontano da Bologna). Ha teso a separare il percorso del figlio (3milioni e 600mila euro di liquidazione per 14 mesi in Fonsai) dal suo: quando Piergiorgio fu scelto dai Ligresti, per le sue qualità di banchiere – ha detto –  io ero una vecchietta ormai in pensione che mai avrebbe immaginato di poter  diventare ministro.

Ma soprattutto la Cancellieri non ha eluso il punto dolente, quella telefonata fatta a Gabriella Fragni, il giorno in cui il suo compagno, Salvatore Ligresti e le due figlie, finirono agli arresti. Quella in cui disse “non è giusto, non è giusto” e si mise a disposizione “tutto quello che posso fare”. Il ministro ha chiesto scusa! “Mi dispiace, sono rammaricata che i sentimenti abbiano prevalso sul doveroso distacco” (che un funzionario avrebbe dovuto mantenere). Ha chiesto scusa, ma per assolversi: fu “empatia”, ha detto, solidarietà umana, senza conseguenze.

A me Annamaria Cancellieri non è parsa un ministro indegno. La sua autodifesa non somigliava affatto alla chiamata in correità con cui Alfano cercò di discolparsi dopo il caso Shalabayeva. Pur non convinto, avrei avuto difficoltà a votare la mozione di sfiducia individuale. Certo, gli interventi che si sono intesi, dopo il suo, in aula, quello della Lega, quello di Schifani, gridavano vendetta. Per il tentativo di mettere sotto accusa chi opera il controllo di legalità, magistrati e intercettazioni, per l’elogio, nemmeno richiesto, dell’amicizia impropria tra un prefetto (e poi  ministro) e una famiglia di potenti corruttori. Certo, Luigi Zanda, capogruppo del Pd, ha fatto finta di non averli sentiti, quegli interventi. Certo, ha lodato il prefetto Cancellieri con trasparente orgoglio di casta (il padre di Luigi, Efisio, fu prefetto e capo della polizia). E quando è arrivato al dunque, cioè alla telefonata il giorno dell’arresto dei Ligresti, Zanda ha preso per buone le mezze scuse del ministro. Non le ha chiesto di fare un passo in più. Non le ha domandato se non ritenesse che i cittadini italiani abbiano il diritto di pretendere quel “distacco doveroso”. Da un ministro nei confronti di una famiglia di potenti corruttori finiti in galera.

Insomma, ad Annamaria Cancellieri, si sarebbe potuto riconoscere di non aver fatto pressioni né aver interferito. Si sarebbe persino potuto considerare una semplice caduta “emotiva” quella telefonata indifendibile alla compagna di Ligresti, ma il contesto nel quale si è voluta scrivere la parola fine sulla vicenda resta il solito, velenoso, tipico della  bugia delle larghe intese. E offre agli uomini di Berlusconi un argomento per difendere l’indifendibile, e cioè il loro capo. E mostra, ancora una volta, un Pd più preoccupato di tenere in piedi a tutti i costi il governo Letta che di ricostruire l’indispensabile rapporto sentimentale con i cittadini elettori.

“La Cancellieri si salva, il cavaliere no. Voto in Senato il 27 novembre”. Titola il Giornale, si chiude una  partita se ne apre u’altra. abbiamo una data, finalmente. Non proprio a Natale, ma dopo l’approvazione della finanziaria. Con Berlusconi che prova a riaprire la trattativa. “Napolitano è ancora in tempo per concedere la grazia”, ha detto a Vespa.  Saranno giorni d’inferno. Del merito che interessa ai cittadini si parlerà per accenni, in modo insincero. A dominare sarà  ancora il destino del condannato, quello di Alfano e Fitto, la convenienza di Letta o di Renzi. Già è evidente. La Stampa: “Il Tesoro riapre il caso IMU. Saccomanni: non è facile trovare coperture per la seconda rata”. Corriere: “IMU, rischio seconda rata. Unione europea pessimista sui nostri conti”. Il Giornale: “Letta nel pallone. Tasse, cose da matti”.

Una politica senza audacia, senza progetto, senza il “doveroso distacco” dagli interessi economici e da chi li rappresenta, una politica  che si sente viva solo se può  distribuire le briciole che il patto di stabilità (e la cecità tedesca) le concedono. Dice alla Stampa l’ex cancelliere tedesco, Gerard Schröder: “Giusto sforare il patto di stabilità se si fanno le riforme. L’austerità è un’ideologia. Così si rischia la fine”. Una politica sotto il segno dell’impotenza e della paura. E paura e impotenza generano mostri, si chiamino Grillo o Berlusconi. Credo che abbia ragione Civati: facciamola finita, prepariamoci alle elezioni! Credo che abbia ragione Barca: un partito-stato non può che finire nei brogli, nelle contese oscure per spartirsi il potere. Bisogna fare presto, non c’è molto tempo.

da corradinomineo.it


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