“Pubblico”, cronaca di un giornalicidio

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“Pubblico giornale” sospende le pubblicazioni. Il numero del 31 dicembre 2012 è il 101 ed è l’ultimo prodotto da Pubblico Edizioni srl. Diciannove redattori, tre poligrafici, alcuni co.co.co. ed un numeroso gruppo di collaboratori a borderò perdono il lavoro. Sono in numeri finali di tre mesi di storia editoriale di un quotidiano voluto da imprenditori/non imprenditori editato da un’azienda/non azienda. Ci paiono queste le migliori definizioni per qualificare chi oggi fugge di fronte alle difficoltà dopo aver avviato un’impresa con un capitale di partenza che appare risibile, dimostrando di non averne valutato i costi reali. In estrema sintesi: occorrerebbe ricapitalizzare, ma nessuno dei soci è disponibile. Un’impresa che è parsa puntare tutto sul nome di un collega noto, il Direttore-editore Luca Telese, come sembra dimostrare l’assoluta mancanza di un’adeguata azione promozionale a sostegno di un prodotto del tutto nuovo giunto nel mercato dell’informazione in uno dei suoi momenti di massima crisi.

Chi, invece, ha affrontato questa avventura con il massimo impegno e serietà è stata la redazione che ha garantito l’uscita del giornale anche quando già l’azienda/non azienda aveva deciso la fuga e già a metà dicembre ragionava di chiusura.

Nel numero di domenica 30 l’assemblea di redazione ha pubblicato un bel racconto di quanto è avvenuto, forte, chiaro. E l’ha titolato “Cronaca di un giornalicidio”. Un titolo quanto mai azzeccato. Nella sua illogicità questa storia è esemplare: ci dice come non si deve fare impresa e, soprattutto, come non si deve “giocare” con la vita di chi lavora. Nel pomeriggio di domenica i colleghi hanno poi ripercorso in una conferenza stampa la tappe della loro vicenda professionale e del loro impegno a non demordere nella speranza che l’esperienza di “Pubblico” non vada perduta.

Ora l’assemblea dei soci nominerà un liquidatore. Con lui il Sindacato dei giornalisti chiederà subito di affrontare i problemi più urgenti a cominciare dal garantire il pagamento di tutte le spettanze a cui i lavoratori – dipendenti, ma anche autonomi – hanno diritto per una prestazione già data.

La vicenda di “Pubblico giornale” porta anche ad una considerazione più generale. Siamo ormai in un campagna elettorale tra le più complesse e dai risultati più aperti degli ultimi anni (peraltro, sia detto per inciso, è proprio questo il momento meno adatto per togliere un giornale politico dalle edicole). Il Paese vive una grave crisi ed al suo interno l’industria dell’informazione è in uno stato disastroso. Se è vero che l’informazione è un parametro fondamentale per giudicare una democrazia l’Italia è proprio messa male. Oggi vanno di moda le “Agende”. Gli elettori dovranno giudicarle utilizzando svariati criteri. Ci permettiamo di suggerire anche una valutazione sulle proposte (quando e se ci sono) su come intervenire per favorire il rilancio di quella che è una vera e propria industria culturale che significa, anche, posti di lavoro, indotto, redditi per le famiglie.

* Segretario generale aggiunto della Federazione nazionale della stampa italiana


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