Marco bavaglio

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di Nadia Redoglia
A breve, per i giornalisti, potrebbe essere questa la parola d’ordine d’inizio giornata: parafrasi del “marco visita” che il milite noto usa per bigiare i travagli quotidiani, proseguendo la giornata in branda. Del resto tra un soldatino e un cronista embedded, a parte la diaria, c’è ben poca differenza. Tutti gli altri non militarizzati, ma obiettori di coscienza in servizi civili, pronunceranno invece  “marco travaglio” (‘azz io che fo re-doglia non ne esco più!) patendone però ogni conseguenza.

Come tutti gli umani appartenenti a comunità civili, anche il giornalista ha il dovere (e il diritto di poterlo fare) di onorare la Giustizia, la cui natura, ben prima della codifica istituzionale, sta nell’onestà, nella correttezza e nella non lesione, dolosa o colposa, del prossimo. E’ anche ben spiegata nella Bibbia, specie nel nuovo testamento.
In tal senso il nome omen del “Fatto” e qualche suo collega sono stati pesantemente bersagliati da pietre (macigni) scagliate per prime da quelli che pretendono e impongono d’essere senza peccato. In contrapposizione al “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” speranza di quei giornalisti, si preferisce (anche nel funerale del consigliere D’Ambrosio, anziché mantenere la liturgia del giorno con l’altrettanto significativa parabola del buon seminatore) il  “beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli” (Mt. 5-7)

Tornando alla laicità dell’italiano Stato di diritto (che siamo noi cittadini, tutti, a prescindere dalla professione di qualunque fede) possiamo senz’altro fare nostra la prima. La seconda  è ossimoro per noi. Quella “giustizia”, infatti, appartiene alle forme di governo che ribaltandone il senso, spesso proprio snaturandolo, la praticano ad personam.


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