La preghiera comune contro chi parla di guerra di civiltà

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La notizia più importante di queste giornate di confusione e paura diffusa è arrivata dal mondo musulmano ed è una buona notizia: l’appello dei religiosi alle proprie comunità per andare a pregare nelle chiese cristiane, come omaggio a padre Jacques Hamel, massacrato da due balordi autoproclamatisi miliziani dell’Isis, ma anche e soprattutto per dare un segnale univoco di fratellanza con le altre fedi ora nel mirino del califfato. E, forse, anche per ricordare che la stragrande maggioranza di morti vittime del terrore islamista sono gli stessi musulmani. Dopo la preghiera, ieri, per il prete di Saint-Etienne-de-Rouvray, oggi le chiese di tutte le città in molte parti d’Europa, e anche qui in Italia hanno visto una partecipazione inimmaginabile fino a poco tempo fa. Imam, capi delle locali comunità, semplici cittadini di religione musulmana, hanno pregato insieme ai fedeli cattolici e di altre confessioni cristiane.

Queste comunità, composte oggi di cittadini europei almeno quanto di immigrati e rifugiati, hanno compreso la posta in gioco, la convivenza pacifica al di là delle differenze, che se dovesse incrinarsi aprirebbe le porte a una scia di diffidenza, rancore, odio e distruzione che pagherebbero, come sempre, i più deboli, cioè tutti noi. Una bella risposta a quanti parlano di guerra di civiltà, già sconfessati dalle dure parole di papa Francesco dalla Polonia sulla guerra frutto di lotte per il potere in cui religione e civiltà non hanno alcun ruolo.

Ora si deve aprire una nuova fase, quella del dialogo reale, tra individui, e non solo relegato ai tavoli istituzionali; per conoscersi, discutere, concordare iniziative comuni che isolino i gesti terroristici ma soprattutto tolgano l’acqua in cui nuotano indisturbati i messaggeri di morte, che oggi sono in grado di intercettare disagio e frustrazione soprattutto tra i più giovani, meglio di quanto riescano a fare istituzioni e persino il mondo associativo che le antenne per cogliere certi segnali dovrebbe averle strutturalmente.

Occorre che ognuno si carichi di responsabilità per questo e contribuire a costruire una prima forte azione comune a cui in tanti oggi stanno già lavorando: la marcia Perugia-Assisi del 9 ottobre prossimo. Una marcia per la pace di cui farsi carico ragionando non più tanto su cosa non va nel mondo e a casa nostra, ma per trovare e proporre nuove risposte civili a partire dalla quotidianità. La scuola, il volontariato, i sindacati, la cultura, i giornalisti, siamo tutti chiamati a costruire una nuova convivenza che sia essa stessa muro (unico muro che abbia senso) al terrore, alla sopraffazione, alle tirannie e alle violazioni dei diritti umani e civili, che nel mondo odierno tramano insieme, anche se in apparenza contrapposti, per dividerci.


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