Non servono leggi speciali per il web

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Come volevasi dimostrare. Gli strumenti per impedire e punire i reati in Internet esistono. Lo avevamo detto. Ma adesso dovrebbe essere chiaro a tutti in seguito alla rimozione di alcuni contenuti offensivi e l’iscrizione nel registro degli indagati di Antonio Di Mattia, che avrebbe postato su Facebook una foto (o fotomontaggio) diffamante la presidente della Camera dei deputati, on. Laura Boldrini.

Intanto era già stata dimenticata dalla cronaca la notizia che nei giorni precedenti a questo intervento della polizia postale erano stati arrestati quattro neofascisti colpevoli della gestione della versione italiana del sito Stormfront. Il sito nell’estate scorsa aveva ospitato nei suoi forum discorsi vaneggianti sulla purezza della razza e diffuso minacce dirette all’ex ministro Andrea Riccardi, esponenti del Pd e altri personaggi della comunità ebraica romana. I suoi quattro giovani gestori sono stati messi ai domiciliari dopo la sentenza formulata con rito abbreviato perchè riconosciuti colpevoli di aver costituito un’associazione a delinquere via web con l’obiettivo “dell’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi etnici e religiosi.” È stato predisposto anche un risarcimento ai danni delle vittime.

Bene, bravi, bis. Questo dimostra che Internet non è popolata solo da sciami intelligenti, ma anche che se si vuole individuare il responsabile di un reato online è più facile che risalire a una lettera minatoria, e che se si vuole perseguire gli hate crimes in rete è possibile farlo e velocemente. Con gli strumenti della legge esistenti.

Non servono leggi speciali per il web. Nei giorni scorsi invece il dibattito pubblico in rete era stato monopolizzato dall’allarme lanciato dalla Boldrini su una presunta “anarchia del web” (formula però nata dallo zelo di un titolista) creando subito opposte fazioni, più legate alla simpatia/antipatia per il personaggio che al merito della questione. E infatti la presidente aveva prima chiarito con un post su Facebook (dove senno’?) di non volere nessuna legge speciale ma avviare un confornto a tutto campo sulla violenza contro le donne e poi corretto il tiro, aderendo prima all’iniziativa del ministro Josefa Idem per “una task force contro il femminicidio”, infine sostendendo l’iniziativa di Serena Dandini che attraverso il sito di Ferite a Morte sta raccogliendo migliaia di firme contro la violenza di genere. La Dandini e la presidente della Camera insistendo rispettivamente sulla necessità dell’intervento culturale, nelle scuole, la seconda sui modelli femminili in televisione.

Posizioni che sembrano riportare un po’ di buon senso in rete e fuori. Basta? Finita qui? Speriamo. Non vorremmo che alla prossima intercettazione mafiosa qualcuno chieda di chiudere la Telecom, per una lettera anonima di interrompere il servizio postale, oppure di multare Sipra e Mediaset per uno spot sessista. Forse potrebbe chiedere di ritirare i fondi per l’editoria a tutti i giornali al prossimo articolo dell’agente Betulla o per un delirio di Feltri.

Invocare il pugno duro per il web non riguarda solo la rete. Come dice Paolo Brogi: “su questa china si finisce in Cina”.


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