Il Paradiso è una Città

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di Paola Caridi
“La meta del cammino umano non è né un giardino né la campagna, per quanto fertile e attraente, ma la città”, dice il cardinal Martini. Perché “la città ideale, meta del cammino umano, ha in sé il meglio del paradiso originario, il fiume dell’acqua e l’albero della vita: tuttavia è una città, un luogo dove gli uomini vivono in armonia, in un intreccio di relazioni molteplici e costruttive”. Una città in cui “ci vogliono le piazze, le agora in cui la gente si possa ritrovare per capirsi e scambiarsi i doni intellettuali e morali di cui nessuno e privo”[1].

Lo dico e lo penso sempre. Le mie chiavi per entrare a Gerusalemme, nel 2003, sono stati due libri molto diversi l’uno dall’altro. Storia d’amore e di tenebra di Amos Oz, e Verso Gerusalemme del cardinale Carlo Maria Martini. Il primo mi ha fatto capire non solo e non soprattutto la tensione dell’ebraismo verso Gerusalemme. Mi ha fatto comprendere il rovello della parte laica dell’ebraismo e poi della società israeliana verso una città centrale nel pensiero, nella fede, nella costruzione (culturale e politica) di sé. Le riflessioni del cardinal Martini, al contrario, mi hanno fatto capire quanto Gerusalemme fosse l’archetipo per una fede che da Gerusalemme è fuggita per fare delle relazioni tra gli uomini e delle contaminazioni il centro della propria riflessione.

Gerusalemme è il paradiso perché è la città. Perché non è il giardino, non è l’Eden, bensì il luogo della contaminazione e dell’incontro. Con la città – Gerusalemme o Milano non importa – ci si sporca le mani, si inquinano (per fortuna) le proprie certezze, ci si contamina, ci si attacca i virus. Non ha – per fortuna –  la bellezza perfetta o perfettibile di un giardino.

Nel giorno del giusto, meritatissimo omaggio a un cardinale così amato, tanto da rappresentare il meglio della diocesi ambrosiana, vorrei ricordarlo come il cardinale della città. Delle città. Amava Milano e amava Gerusalemme, dov’era stato per anni. Amava le città perché ne amava le persone. Lui biblista, lui fine intellettuale, aveva sentito a un certo punto – molti anni fa – il limite di essere un pensatore, e aveva chiesto ai suoi amici che assistevano i più deboli nella società di poter curare qualcuno. Perché solo la vicinanza alle persone rende un uomo o una donna veramente completi.  Lo fece, e fu quello che è stato.

Fonte: http://invisiblearabs.com

www.perlapace.it


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