In Italia si discute da decenni dell’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. È un tema su cui chiunque si sente in diritto di intervenire, ma le voci che lo considerano per quello che è: ‘un’urgenza sociale’, restano ai margini. Siamo nel 2025: la pornografia è accessibile a chiunque, a qualsiasi età. Il sesso viene rappresentato come dominio, potere, merce di scambio o strumento di accettazione sociale.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a nuovi scandali legati ai canali Telegram, ai siti e alle pagine social in cui gruppi di uomini si scambiavano immagini di donne inconsapevoli, spesso minorenni. In alcuni casi, l’intelligenza artificiale è stata usata per ricreare corpi nudi e scene sessuali false, con le fattezze di persone reali, comprese figure pubbliche. Il fenomeno del revenge porn è in crescita anche tra gli adolescenti. Secondo la ricerca condotta da CADMI e Differenza Donna, in collaborazione con Bain & Company, emerge un dato inquietante: per il 57% dei giovani tra i 18 e i 30 anni, una violenza fisica o sessuale non è considerata “gravissima”.
La sessualità è parte integrante della vita di ogni individuo. Come afferma il Commissioner for Human Rights del Consiglio d’Europa, ricevere informazioni affidabili, scientificamente corrette e complete è un diritto umano fondamentale. Ma nei fatti, in Italia, questo diritto non esiste. Dietro le accuse di “indottrinamento” e “minaccia ai valori tradizionali” si nasconde una paura più profonda: la paura della consapevolezza. È la stessa paura che da secoli accompagna il corpo delle donne, il desiderio, la diversità, il piacere. La stessa paura che continua a trattare la sessualità come un pericolo da contenere, invece che come una dimensione vitale della crescita e della relazione umana.
Eppure, un’educazione sessuale completa protegge i bambini e gli adolescenti, contribuisce a creare una società più sicura, più consapevole, meno manipolabile. La Società di psicolpatologia sessuale sottolinea che educare alla consapevolezza significa rendere i giovani capaci di comprendere le implicazioni psicologiche e sociali della diversità sessuale, costruendo rispetto e autonomia.
I genitori spesso aspettano che siano i figli a porre domande. Ma i figli, per imbarazzo o paura del giudizio, le domande non le fanno. Così i ragazzi si informano da soli: sui social, su Internet, su blog o forum gestiti da coetanei. In questo modo finiscono per costruire la propria educazione affettiva su informazioni distorte, dove la pornografia diventa modello di comportamento e il consenso è frainteso come disponibilità. Il risultato è un vuoto di conoscenza e di linguaggio che genera vergogna, sensi di colpa, stereotipi e violenza.
Relegare la responsabilità educativa unicamente alle famiglie è insensato. Una larga parte degli adulti non ha mai ricevuto una formazione su questi temi, non conosce il proprio corpo, non sa parlarne e spesso non vuole saperne. Tra repressione, disinformazione e rigidità culturale, molti preferiscono restare ignoranti. Una parte delle donne, ancora oggi, non parla di autoerotismo perché “non sta bene”, mentre la masturbazione maschile è culturalmente accettata e quasi celebrata. È una differenza che racconta molto: la sessualità femminile è ancora un territorio da sorvegliare, non da esplorare.
Davvero vogliamo che a educare le nuove generazioni siano persone che reprimono il desiderio, che usano il sesso come forma di potere o che ignorano completamente il proprio corpo? Perché queste persone i figli li fanno, e li crescono. E li crescono con le stesse idee oscurantiste, con lo stesso senso di colpa e con la stessa paura del piacere.
L’educazione sessuale, come spiega la Società Italiana di Psicopatologia Sessuale, ha lo scopo di favorire il rispetto del proprio e dell’altrui corpo, ridurre i comportamenti sessuali a rischio attraverso la conoscenza e l’uso delle precauzioni, diminuire le gravidanze indesiderate, prevenire le malattie sessualmente trasmissibili e promuovere relazioni basate sul rispetto reciproco, al di là delle differenze individuali. Non è una trasmissione di nozioni, ma una forma di educazione civica e relazionale, parte integrante della crescita della persona.
Essere cittadini consapevoli della propria sessualità è una delle forme più complete di libertà. E forse è proprio questo che spaventa: la libertà di conoscersi, di scegliere, di non obbedire.
Stiamo crescendo generazioni che ignorano la propria fisiologia, non conoscono il desiderio e confondono il rispetto con la vergogna. Nel 1982 avevo quattordici anni, frequentavo la prima superiore. Un’insegnante, di sua iniziativa, ci fece lezioni di educazione sessuale. Mia figlia, nata nel 2004, non ha avuto la stessa fortuna. In più di quarant’anni non abbiamo fatto passi avanti. Siamo tornati indietro. Perché il sesso fa ancora paura? E soprattutto, perché la consapevolezza sessuale spaventa così tanto chi ha paura di perdere il controllo?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la sessualità come “l’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, etici, giuridici, storici, religiosi e spirituali che arricchiscono e rafforzano la comunicazione e l’amore tra le persone”. La sessualità riguarda tutti, e comincia molto presto. Come ricorda SOS Pediatria, la curiosità verso il proprio corpo nasce già nei primi mesi di vita: il bambino esplora, scopre sensazioni, gioca con sé stesso esattamente come con le altre parti del corpo. Sono gesti naturali, parte della conoscenza di sé.
Ma quando gli adulti — impreparati, spaventati o moralisti — reagiscono con rimproveri o punizioni, trasmettono vergogna al posto della consapevolezza e creano enormi danni allo sviluppo emotivo dei figli. Così si comincia a costruire un rapporto col corpo fatto di pudore e colpa, invece che di rispetto e curiosità.
I dati confermano una realtà preoccupante: meno di un adolescente su due ha ricevuto educazione sessuale a scuola. Secondo la ricerca L’educazione affettiva e sessuale in adolescenza: a che punto siamo?, realizzata da Save the Children e IPSOS, il 47% dei ragazzi si affida al web per informarsi sulle pratiche sessuali, e il 57% per conoscere le infezioni sessualmente trasmissibili. Quasi un adolescente su quattro (24%) considera la pornografia una rappresentazione realistica del sesso. Eppure, inserire l’educazione affettiva e sessuale nei programmi scolastici non serve solo a fare prevenzione: significa sviluppare competenze personali, relazionali e comunicative, imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni, comprendere la sessualità come parte globale della persona — biologica, affettiva e sociale. Significa anche contrastare stereotipi, discriminazioni e violenza di genere.
Sul piano sanitario, la situazione è altrettanto allarmante. Le malattie sessualmente trasmissibili sono in aumento, soprattutto tra i giovani. I dati del 2022 mostrano un incremento del 5% dei casi di gonorrea, del 20% di sifilide e del 25% di clamidia. Le prime rilevazioni del 2024 indicano anche una crescita dei contagi da HIV tra i giovani: dal 1,6% al 2,4% in un solo anno. Le interruzioni volontarie di gravidanza, inoltre, risultano in aumento tra le under 18.
Di fronte a questi numeri, non serve scomodare illustri pensatori o poeti dell’eros per parlare di sessualità. Serve un’educazione scientifica, empatica, onesta.
