Alea iacta est. “La decisione è presa, sì a occupazione totale di Gaza”. Con – pare – bene placet di Trump.
Non mi ha stupito quanto dichiarato ieri dal primo ministro israeliano. Come non mi ha stupito quell’apparente miglioramento della situazione dei giorni scorsi (anzi mi aveva preoccupato, ricordandomi altre ‘aperture’ strategiche di questi due anni): una leggera diminuzione della pressione, la distribuzione di un po’ di medicinali, la possibilità di far arrivare un po’ di aiuti per qualche ora. Mentre si continua a morire di fame o perché vittime di un macabro tiro al bersaglio.
Il canto del cigno. L’ultima sigaretta concessa ai condannati a morte. Questo mi è sembrato.
È dal 2023 che mi è chiaro il progetto. È chiaro a molti. Senza bisogno di essere definiti complottisti.
Come è stato (ancora più) chiaro dal momento in cui si è scoperto che c’erano agenzie che, sin dalle prime battute del ‘conflitto’, vendevano pezzi di terra di Gaza promuovendo l’affare con slogan del tipo “svegliatevi, una casa al mare non è un sogno!”, costruzioni di lusso, of course!
Come era chiaro seguendo le attività degli operatori umanitari, delle Ong e delle Nazioni Unite.
Come era chiaro all’indomani della diffusione del video di Trump, il pacifista dorato, e del più recente video della Ministra israeliana Gila Gamliel.
Ora forse possiamo riporre le nostre speranze solo nell’Idf – chi l’avrebbe mai detto? –
Nei loro no. Nel rifiuto a compiere l’atto finale.
Come ci raccontava qualche giorno fa l’Avvenire che ci parlava di suicidi, di riservisti che si rifiutano di tornare al fronte. Come ci informa oggi (tra gli altri) ilsole24ore.com che scrive: “l’Idf ha annunciato la cancellazione dello stato d’emergenza bellica in vigore dal 7 ottobre, che prevedeva l’estensione obbligatoria del servizio di riserva per i soldati di leva regolare di altri quattro mesi. Alleggerimenti nel personale militare che porteranno a una riduzione dell’esercito regolare già nelle prossime settimane”.
E come ci racconta quel post su X del figlio del primo ministro israeliano che attacca il capo di stato maggiore delle Idf Zamir e parla di “rivolta e tentativo di colpo di Stato”.
Sarà sufficiente a fermare Benjamin Netanyah?
Intanto l’eco dei giovani a Tor Vergata già se l’è portato via il vento.
Quel milione di voci e quei due milioni di gambe che avrebbero potuto arrivare a calpestare quelle spiagge (o almeno provarci) guidati da una bandiera bianca e gialla…
Ricordo anni fa “Ammazzateci tutti”, un movimento anti-‘ndrangheta nato nella Locride come risposta ai numerosi omicidi. Non entro nel merito, è il concetto che mi interessa: l’azione di quei giovani era nata dalla consapevolezza della necessità di occupare, metterci i corpi, opporsi in massa, fare rete, perché mica possono ammazzarci tutti! Ecco quei due milioni di gambe avrebbero sortito un ottimo effetto… Ma si sa come vanno certe cose.
Scrivevo un anno fa: “Si vive di attese a Gaza: attesa di cibo che non arriva, attesa che il sibilo del drone diventi una esplosione, attesa di una notizia, attesa di quel silenzio e che quel silenzio finisca. Attesa della morte. Perché a Gaza chi è sopravvissuto sino ad ora questo sta attendendo: il quando non il se” Ecco il quando. O forse no. Perché ancora dipende da noi. Ma se dobbiamo farci sentire e vedere, facciamolo ora e in fretta prima che diventi concreto il recentissimo ddl (un altro!) “disposizioni per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo, nonché per il contrasto agli atti antisemiti”.
