Mario Candotto non c’è più. Si è spento nel pomeriggio di ieri, dopo un breve periodo di degenza all’ospedale dove è stato ricoverato per una caduta, quello che è stato l’ultimo sopravvissuto, a Ronchi dei Legionari, del dramma legato alla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Candotto aveva 99 anni ed è stato un simbolo di quella pagina buia della storia italiana. Un uomo dal carattere profondo, protagonista di numerose testimonianze, anche davanti ai giovani di tutta Italia. Nel maggio scorso, per l’ennesima volta, era stato nel luogo della sua detenzione, il campo di concentramento di Dachau, in Germania, mentre ad aprile, a Genova, il suo ultimo abbraccio fraterno al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mario Candotto era nato a Porpetto il 2 giugno del 1926. Staffetta informativa nel movimento partigiano della brigata Bruno Montina (GAP), fu arrestato nella sua casa del rione ronchese “Pater”, dove ancora oggi abitava, con tutta la famiglia, il 24 maggio 1944. Successivamente fu internato nel campo di Dachau ed impiegato anche come tornitore alla fabbrica della Bmw. Una dura esperienza che provarono anche il papà Domenico, classe 1886, morto nello stesso lager, la mamma Maria Turolo, del 1890, morta ad Auschwitz e le sorelle Ida, del 1927 e Fede, nata nel 1922, che, con Mario, ebbero la fortuna di tornare a casa. La sua storia è legata anche a quella dei due fratelli, Lorenzo e Massimo. Lorenzo era del 1924, Massimo del 1913. Il primo meccanico, il secondo, carpentiere. Lorenzo fece parte dei GAP friulani, brigata Montina. Perse la vita a Ranziano, ucciso da forze belogardiste. Era l’otto marzo del 1945. Massimo, invece si aggregò alla Brigata Proletaria. Perse la vita il 15 settembre del 1943 e fu tra i primi caduti della Resistenza nel nostro territorio. Venne ucciso a Merna. Nel 2022 aveva perso l’adorata moglie, Anna Maria Zotti, sposata nel 1958. Una solida unione dalla quale erano nate due figlie, Tamara e Monica. Al ritorno a casa, Candotto, come tutti gli altri, aveva dovuto reinventarsi la vita, tornare al lavoro, senza mai dimenticare.
Ed è stato proprio il ricordo ad averlo spinto ad essere testimone di quell’orrore, tra la gente e, soprattutto, nelle scuole. “Quello della deportazione è un ricordo indelebile – aveva detto– una pagina di vita che mi ha accompagnato in tutti questi anni. Ma ho deciso di parlare, di essere testimone, proprio perchè le giovani generazioni sapessero e perchè fossero spinte a nuovi ed importanti ideali di pace e di fratellanza tra i popoli”. Era stato apprendista meccanico montatore delle strumentazioni di volo alle officine aeronautiche del Crda, ma viene ricordato anche per aver organizzato numerose feste dell’unità, compresa quella a Vermegliano, dove ebbe modo di essere presente anche Franco Basaglia con alcuni “matti” e con cui sorvolò Ronchi dei Legionari con un aereo dell’Alitalia. Aveva studiato l’esperanto perché credeva nella fratellanza tra I popoli. Nel 1969 volle vedere di persona com’era la vita nei Paesi dell’est e si recò con la famiglia in Ungheria e Cecoslovacchia. Non fu per nulla contento di quel regime. Corrispondeva in esperanto con cittadini della Cecoslovacchia, Russia e altre nazioni. I funerali si svolgeranno lunedì, alle 10, al cimitero comunale di Ronchi dei Legionari, dove la salma sarà esposta dalle 8.30. In un post sui social il giornalista Gad Lerner, che più volte lo aveva incontrato ed intervistato, ha sottolineato come piange la perdita di un amico. “Provo e proviamo un senso di grande vuoto – ha detto la presidente dell’Anpi, Marina Cuzzi – e la sua scomparsa ci mesa come un macigno sulle nostre spalle. Si chiude per sempre una pagina di storia vissuta di una città, la nostra, che molto ha dato alla Resistenza”. Nell’aprile scorso Candotto aveva preso parte alla cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria ad Ondina Peteani. Con lei aveva vissuto lo stesso viaggio, destinazione l’inferno.
