Se a dividerci dallo straniero è soltanto una parola d’ inchiostro su carta che ci invita ad avvicinarci

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Settanta minuti di monologo per dar voce a chi non ne ha avuta per troppo tempo: al teatro India  Nicola Russo in “ Christophe o dell’ elemosina” interpreta il sans-papiers tunisino conosciuto a  Parigi trent’ anni prima,  attraverso l’ intenso e struggente rapporto epistolare che ne seguì.

Un invisibile può attendere anche due anni per un  timbro, ha luoghi prediletti per “fare” l’ elemosina, conosce a memoria la strada, le ringhiere, i rifiuti, il traffico, la notte. E Parigi alla fine degli anni Novanta, d’ estate, è caotica e stordente. Al loro secondo incontro, inusuale per un vagabondo, Christophe spiega a Nicola: “Chi sta in strada sa riconoscere il caso”.  E proprio il caso  ha portato Christophe nel mondo che gli ha negato un’ identità, come racconta Nicola Russo, autore e interprete della pièce: “Ho incontrato Sami nell’estate del 1995 a Parigi. Avevo diciannove anni. Sami, o Christophe come preferiva farsi chiamare, avrà avuto almeno ventisette o ventotto anni ed era in Francia già da una decina di anni. Ho passato con lui nemmeno due giorni ma, una volta tornato in Italia, tra settembre e dicembre 1995 lui mi ha scritto diverse lettere. Christophe viveva per strada facendo l’elemosina, era un artista, voleva scrivere ma viveva la difficoltà della sua condizione di clandestino senza permesso di soggiorno. Non so bene per quale motivo avesse scelto proprio me come destinatario dei suoi pensieri ma, dal 1995 ad oggi, ho conservato le sue lettere”.

Derelitto e solo, abituato a non parlare ma a osservare molto, Christophe è  pieno di interessi e dignità: non chiede, fa. Si attiva, studia i passanti, sceglie i posti più adatti che traccia su una mappa della città, cerchiando quelli dove si può stare al caldo nei giorni più freddi: “Io non lavoro, faccio l’elemosina”. Usa l’elemosina per un letto, un bagno, un pasto caldo. Ma anche per un bel film che gli doni emozioni, e per un volume che si porta dietro di panchina in panchina come un prezioso tesoro: “Ho comprato un dizionario: ho un’arma in più”. I libri, invece, li legge alla biblioteca pubblica, tanti, lo racconta con occhi che brillano Nicola-Christophe.  Cammina tra il pubblico, disposto ad altezza di palco come fossero passanti lungo una strada parigina, che stavolta hanno però lo sguardo concentrato su di lui e finalmente, oltre a vederlo,  “Ascoltano una storia che tu sai essere realtà”.

Per una volta è  l’emarginato, lo straniero nel senso letterale di “altro da sé”, il vulnerabile al centro della scena, mentre sullo schermo del fondale scrollano i video di una banlieue in bianco e nero:  serrande abbassate di negozi dismessi, reti d’ acciaio, muri scrostati,  asfalto e piccioni.  Per 70 minuti ci si immerge, in totale silenzio, in ascolto assoluto, nel mondo di Christophe – troppo timoroso di disturbare Dio per pregarlo,  troppo fragile per guardarsi in uno specchio e scoprire un volto invecchiato e stanco – che è il nostro di sempre ma non l’ abbiamo mai visto con i suoi occhi. E questo lo rimprovera a Nicola e a noi tutti, quando lì, sul ciglio della strada, ci invita ad avvicinarci ma “siamo ancora troppo lontani”, prima di sparire e lasciarci di sé, come un amuleto, un  fenicottero di origami.


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