Il caso Juventa non esisteva, il gup di Trapani archivia tutto. E la storia diventa il simbolo degli attacchi alle ong

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Un processo che non si farà. Una indagine che non si doveva nemmeno fare. Il gup del Tribunale di Trapani, giudice Samuele Corso, ha accolto la richiesta dei pubblici ministeri, ed ha prosciolto tutti gli indagati dell’indagine avviata sette anni addietro su tre equipaggi appartenenti a diverse Ong e che portò al sequestro della nave Juventa, diventata un ferrovecchio rimanendo così a lungo ormeggiata in una banchina del porto di Trapani. Tutto era in regola quindi. Nessun reato è stato commesso dagli equipaggi delle Ong  Jugend Rettet, Save the Children e Medici senza Frontiere. Il gup ha deciso: il fatto non sussiste. Gli indagati, 24 in totale, erano finiti sotto inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Guardia Costiera e Polizia avevano filmato e fotografato una serie di soccorsi in mare, la ricostruzione proposta ai pm di Trapani era quella che le navi avrebbero operato come una sorta di “taxi del mare”. I pm avevano chiesto il proscioglimento per assenza di dolo, il  gup ha del tutto escluso l’esistenza di qualsiasi reato. In maniera più netta rispetto alla richiesta dei magistrati dell’accusa. Non luogo a procedere per i 24 indagati, gli equipaggi che per sette anni sono finiti sotto inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Caso chiuso? Potrebbe non accadere. C’è un risvolto. I pm hanno messo nero su bianco nella loro requisitoria che l’indagine forse non doveva nemmeno iniziare, e che sui tavoli dei magistrati che nel tempo si sono succeduti nel dirigere l’inchiesta più di qualche “carta” è stata nascosta. A finire sotto accusa in particolare è stata la Guardia Costiera che con lo Sco si è occupata di indagini e intercettazioni. A spingere le indagini erano stati in particolare alcuni agenti di un servizio di sicurezza, Imi Security Service,  finiti come infiltrati a bordo di alcune delle navi Ong, che raccontarono poi agli investigatori che quelle imbarcazioni erano usate, dissero, come dei “taxi del mare”, non c’era nessuna emergenza tale da giustificare i soccorsi, semmai le navi attendevano in mare l’arrivo dei barchini con i migranti portati sotto bordo dagli scafisti. Ci sono intercettazioni rimaste non trascritte, nei brogliacci qualcuna di queste addirittura segnata come irrilevante, che se in Procura a Trapani fosse stata letta per tempo non avrebbero portato ne al sequestro della Juventa ne all’istruttoria processuale. Nel corso dell’udienza preliminare questi agenti sono stati anche sentiti, proprio su richiesta dei pubblici ministeri. Si è così scoperto che tra loro c’era chi in passato indossava una divisa e che però era stato anche cacciato via dalla Polizia. Oggi il giudizio che definisce inattendibili questi racconti. Nel corso delle indagini si scoprì peraltro che due degli agenti infiltrati avevano tentato di “passare” al leader leghista Salvini le notizie, così da screditare il lavoro delle Ong, in cambio di posti di lavoro. Contractors infedeli. Gli incontri risalirebbero alla primavera del 2017, mentre le indagini erano ancora segrete, venivano fatte arrivare le informazioni sulle attività in mare delle Ong, notizie che all’epoca sarebbero state usate dal leader della Lega per la caccia al consenso elettorale. Salvini quando fu ministro dell’Interno ha risposto nelle aule parlamentari su queste circostanze, non smentì i contatti ma negò promesse e offerte di lavoro. Una indagine che ha fatto anche rumore perchè ad essere intercettati sono stati anche giornalisti totalmente estranei all’inchiesta, ma i loro dialoghi, utili a raccontare al pubblico le vicende tragiche delle migrazioni, finirono per essere impropriamente ascoltate. Per un periodo l’inchiesta toccò anche il sacerdote eritreo Mosè Zarai, candidato al Nobel per la Pace nel 2015, la cui posizione è stata archiviata su richiesta dei pm. Qualcuno ha giocato sporco con la giustizia e con chi salvava vite in mare.“Questa decisione riconosce la verità sul nostro operato e sull’impegno umanitario per salvare vite in mare – ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children – Save the Children è sempre stata fiduciosa nella conclusione positiva di questa vicenda, nella piena coscienza che i membri dell’Organizzazione hanno sempre operato nella legalità, al fine di salvare vite in mare, rispondendo al proprio mandato umanitario e con il primario obiettivo di proteggere i soggetti vulnerabili, quali ad esempio minori non accompagnati e donne potenzialmente vittime di tratta e sfruttamento”.
I legali dell’Organizzazione, l’avv. Jean Paule Castagno e l’avv. Andrea Alfonso Stigliano dello Studio Orrick di Milano, hanno svolto una proattiva e minuziosa attività difensiva, evidenziando una serie di elementi determinanti affinché la stessa Procura potesse rivalutare la propria posizione, tanto da richiedere essa stessa una sentenza di non luogo a procedere.
“Nel corso dell’udienza, è stato possibile illustrare e portare all’attenzione del Giudice tutti gli elementi di prova che hanno smentito categoricamente ogni accusa, come acclarato dalla richiesta di non luogo a procedere formulata dai pubblici ministeri. Sono inoltre emerse l’encomiabile professionalità e dedizione con le quali tutto il personale dell’Organizzazione, ed in particolare il team leader responsabile per la missione, ha operato per l’intera durata della stessa”, ha dichiarato l’avv. Jean-Paule Castagno. «La formula assolutoria dice che non c’era niente, mancava la condotta materiale», ha spiegato l’avvocato Alessandro Gamberini, legale della ong Jugen Rettet. I fatti materiali non sono stati dimostrati e non erano dimostrabili come noi abbiamo sostenuto con richieste di archiviazione alla Procura. Questo processo è una delle origini del male, della diffamazione delle ong chiamate spesso a essere complici dei trafficanti», «Si chiude un’epoca – ha proseguito – anche se non credo che il nostro ministro Salvini si fermerà».

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