Quel pastrocchio contro le Ong

0 0
Un processo che non s’ha da fare. La voce ascoltata ieri mattina nell’aula bunker “Giovanni Falcone” del Tribunale di Trapani, non è stata quella di un avvocato, ma al contrario quella di un pubblico ministero. A sette anni dal sequestro della nave “Juventa” appartenente alla Ong tedesca “Jugend Rettet”, una delle imbarcazioni che hanno operato nel Mediterraneo soccorrendo centinaia di migranti finiti nelle mani di disumani scafisti e orrendi libici trafficanti senza scrupoli di esseri umani, ieri la Procura di Trapani ha chiesto al gup il non luogo a procedere, per mancanza di dolo, per i 24 indagati, gli equipaggi finiti sotto inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma i pm hanno anche fatto altro, mettendo nero su bianco nella loro requisitoria che non solo questo processo non s’ha da fare, ma che questa indagine forse non doveva nemmeno iniziare, e che sui tavoli dei magistrati che nel tempo si sono succeduti nel dirigere l’inchiesta più di qualche “carta” è stata nascosta. A finire sotto accusa in particolare è stata la Guardia Costiera che con lo Sco si è occupata di indagini e intercettazioni.
Un procedimento che nella fase dell’udienza preliminare dura già da quasi due anni, ieri è arrivato nella fase della discussione, che proseguirà oggi e domani per poi riprendere per le eventuali repliche il 19 aprile quando ci sarà il pronunciamento del gup, giudice Samuele Corso.. Il colpo di scena è maturato nel giro di poco, quando a ieri a prendere la parola sono stati i pubblici ministeri, il procuratore aggiunto Maurizio Agnello e i sostituti procuratori Brunella Sardoni e Giulia Mucaria. La richiesta fatta al giudice  è stata netta: “non luogo a procedere per mancanza di dolo”. Così spiegata, per due ragioni. Intanto per i contenuti introdotti nel codice dalla riforma Cartabia, secondo cui gli indagati vanno rinviati a giudizio solo se è possibile formulare una ragionevole previsione di condanna, e ragionevolmente questa previsione è inesistente. Ma i pm hanno anche sollevato dubbi e ombre sull’originaria accusa sostenuta nel 2017 da un voluminoso rapporto informativo del Servizio Centrale Operativo e del nucleo investogativo della Guardia Costiera.
A spingere le indagini erano stati in particolare alcuni agenti di un servizio di sicurezza, Imi Security Service,  finiti infiltrati a bordo di alcune delle navi Ong, che raccontarono poi agli investigatori di quelle imbarcazioni finite per essere usate, dissero, come dei “taxi del mare”, per loro non c’era nessuna emergenza tale da giustificare i soccorsi, semmai le navi  attendevano in mare l’arrivo dei barchini con i migranti portati sotto bordo dagli scafisti. Per i pm gli agenti infiltrati sono inattendibili, sopratutto da quando si è scoperto nel corso delle successive indagini che avevano tentato di “passare” al leader leghista Salvini le notizie, così da screditare il lavoro delle Ong, in cambio di posti di lavoro. Contractors infedeli, saliti a bordo delle navi di alcune Ong, coinvolte ci sono anche quelle di Medici senza Frontiere e Save the children, quali esperti di sicurezza marittima, ma alcuni di loro si sarebbero adoperati a cavalcare l’onda di certa propaganda, di marca leghista, contro le Ong che operavano nel Mediterraneo.
Tra loro infatti c’è chi ha raccontato di quei contatti con il capo della Lega, l’odierno ministro Matteo Salvini: nella sua segreteria, nella primavera del 2017, mentre le indagini erano ancora segrete, venivano fatti arrivare le informazioni sulle attività in mare delle Ong, notizie usate dal leader della Lega per la caccia al consenso elettorale. Salvini quando era ministro dell’Interno ha risposto nelle aule parlamentari su queste circostanze che durante le indagini condotte dalla Procura di Trapani erano venute fuori, non smentì i contatti con quegli agenti privati, ma ha negato promesse e offerte di lavoro. Ma intanto dentro i faldoni d’indagine sono finite le informazioni degli agenti della Imi Security Service. Indagini, hanno ieri sottolineato i pm come non limpide. Ci sono intercettazioni rimaste non trascritte, nei brogliacci qualcuna addirittura segnata come irrilevante, che se in Procura a Trapani fossero state lette per tempo non avrebbero portato ne al sequestro della Juventa (i pm adesso ne hanno chiesto il dissequestro, e frattanto la Ong tedesca ha presentato un esposto per l’abbandono disastroso della loro imbarcazione, da sette anni ormeggiata al porto di Trapani) ne all’istruttoria processuale.
Nel corso dell’udienza preliminare questi agenti sono stati anche sentiti, proprio su richiesta dei pubblici ministeri. Si è così scoperto che tra loro c’era chi in passato indossava una divisa e che però era stato anche cacciato via dalla Polizia. Una indagine che ha fatto anche rumore perchè ad essere intercettati sono stati anche giornalisti totalmente estranei all’inchiesta,  e per un periodo l’inchiesta toccò anche il sacerdote eritreo Mosè Zarai, candidato al Nobel per la Pace nel 2015, la cui posizione è stata archiviata su richiesta dei pm. Qualcuno ha giocato sporco con la giustizia e con chi salvava vite in mare. Le difese però si apprestano a dar battaglia ugualmente. Non accettano la formula di proscioglimento utilizzata dai pubblici ministeri. Secondo i pm la violazione della norma c’è stata, ma nella sostanza gli equipaggi, quasi tutti non italiani, non sapevano che stavano compiendo azioni di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per le difese totale assenza di reato, anzi qualcuno pensa di avanzare azioni legali contro gli investigatori, per calunnia contro equipaggi e Ong. Il procedimento oggi è finito sotto i riflettori dell’Onu, i cui osservatori sono stati ammessi a seguire le udienze. La stessa cosa però non è stata concessa a chi scrive, dopo che ieri per l’opposizione di soli due avvocati della difesa, il giudice non ha potuto far altro che non accogliere la richiesta di assistere alla discussione.

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21