Finché le tutele saranno un lusso e non un diritto, continueremo ad avere morti sul lavoro

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“Io vengo qua a Otto e mezzo circa 3 anni fa, vengo all’indomani dell’omicidio sul lavoro – lo chiamo omicidio sul lavoro e non è un caso e vi spiego perché – di una ragazza di nome Luana D’Orazio risucchiata e stritolata dal macchinario al quale stava lavorando. Io mi ricordo perfettamente che mentre ero qua parlavamo di una sciagura, di un deplorevole sciagurato incidente. A distanza di tre anni la magistratura ha indagato e guarda caso salta fuori che la protezione che doveva impedire che un lavoratore venisse risucchiato e stritolato era stata rimossa per consentire alla macchina di fare pochi punti percentuali in più di lavoro, durante una sessione. Guarda caso non si era trattato di una sciagura, come spesso accade, ma del tentativo criminale di anteporre il profitto e il ricavo alla tutela di un lavoratore in carne e ossa, non di una macchina”.

Così Stefano Massini venerdì 16 febbraio ospite di Lilli Gruber su La7. Lo scrittore poi, con la forza e autorevolezza delle sue parole, toglie di mezzo ogni tipo di retorica puntando dritto al problema:

1) fino a quando qualsiasi tutela sul lavoro sarà vissuta come una forma di lusso e non come un diritto continueranno queste sciagure;

2) di chi muore sul lavoro non gliene frega niente a nessuno.

“L’anno scorso i morti sul lavoro sono stati mille; ventimila negli ultimi 20 anni. Una mattanza, una carneficina. Ne parliamo oggi perché nel cantiere di Firenze ne sono morti più di uno, ma da domani ne moriranno ogni giorno altri che non faranno notizia” ha proseguito lo scrittore.

Insieme a Oliviero Beha e Articolo21 – con l’immancabile “super Baz”, l’operaio toscano Marco Bazzoni che continua la sua lotta personale contro la definizione “morti bianche” lanciando proprio in questi giorni una raccolta firme – sedici anni fa abbiamo iniziato ad occuparci – “accendere un faro e illuminare le loro storie” l’espressione che usa Giuseppe Giulietti – di chi muore sul luogo di lavoro ma, anche, delle famiglie che rimangono. Della non-vita che attende mogli, mariti, figli, padri o madri.

A seguire, poi, capi-servizio “illuminati” – taluni hanno anche fatto carriera – trovati sul mio cammino giornalistico, quando sottoponevo articoli al riguardo, usavano definizioni come “i morti sul lavoro sono non-notizie” oppure “scrivere di morti sul lavoro porta sfiga”. Il 2 ottobre 2010 sul Fatto Quotidiano cartaceo l’allora direttore Padellaro mi chiese di comporre una spoon-river delle morti sul lavoro: “100 vite, 100 storie, 100 morti sul lavoro” che trovate di seguito.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/19/finche-le-tutele-saranno-un-lusso-e-non-un-diritto-continueremo-ad-avere-morti-sul-lavoro/7451225/


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