Ken Loach e la politica assente

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La crisi delle sale cinematografiche è ormai conclamata, al punto che servirebbe un intervento mirato a sostegno del settore e nuove iniziative da parte degli stessi cinema per poter sfidare, con successo, lo strapotere e l’oggettiva comodità delle piattaforme televisive e online. Tuttavia, nelle ultime settimane è accaduto qualcosa di inedito, diremmo quasi rivoluzionario visti i tempi: sono usciti tre film che le sale le hanno riempite eccome. Parliamo di “Comandante”, con un magistrale Pierfrancesco Favino nei panni di Salvatore Todaro, il marinaio fascista che, dopo aver affondato una nave nemica durante la Seconda guerra mondiale, ne mise in salvo l’equipaggio, di “C’è ancora domani”, esordio alla regia di Paola Cortellesi nonché magistrale affresco sulla condizione femminile e la lotta per l’emancipazione delle donne, compreso il diritto di voto, nell’immediato dopoguerra, e di “The Old Oak”, capolavoro di Ken Loach, dedicato all’accoglienza, all’integrazione e alla solidarietà nei confronti dei migranti in una comunità del nord dell’Inghilterra. Giovani, vecchi, donne, bambine, ragazze e ragazzi: un tripudio di gente si è ritrovata, ha applaudito, ha riso e ha pianto, si è commossa e ha avvertito un fortissimo bisogno di stare insieme e riconoscersi in qualcosa. A questo punto, ci rivolgiamo dunque  alla politica, e in particolare alla sinistra, senza diplomazie di sorta: o capite che questo pacifico assalto ai cinema per assistere a pellicole che parlano, per l’appunto, di politica, nella sua accezione più nobile, incarna una necessità ormai assoluta, presente in un settore non piccolo e sinceramente straordinario della società, o è meglio che cambiate mestiere. Non basta, infatti, scendere in piazza, benché meritorio, non basta presentare leggi giuste e condivisibili, non basta battersi per il salario minimo, non basta farsi carico dei problemi del Paese, a cominciare dai ceti sociali più deboli, non basta tutto questo, per quanto sia imprescindibile, se non si riesce a cambiare la narrazione imposta, con rara protervia, da questa destra.
Sarebbe bello, pertanto, se questi film fossero trasmessi nelle scuole e nelle sezioni di partito, nelle università, nelle rassegne cinematografiche organizzate dai vari comuni, se suscitassero un dibattito ampio e capillare, se dessero vita a seminari e incontri, proiezioni e cineforum, proprio come avveniva un tempo, quando le opere dei vari Rosi, Scola, Pasolini e altri entravano immediatamente a far parte del dibattito pubblico.
Sarebbe opportuno anche che qualcuno decidesse di ascoltare e prendere per mano questa comunità, probabilmente stanca, sola e spaesata ma ancora desiderosa di guardare al futuro.
E sarebbe importante che si cogliesse la meraviglia dei tanti giovani che stanno riscoprendo il cinema grazie a opere tutt’altro che semplici ma capaci di parlare a chiunque, di unire le generazioni e di mettere in risalto le nostre conquiste democratiche e quei valori occidentali che spesso sbandieriamo senza renderci conto di essere i primi a calpestarli.
La scorsa primavera era andato bene anche “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti, a dimostrazione che la stagione del riflusso, del disimpegno e del consumismo fine a se stesso si è, fortunatamente, conclusa.
Cara sinistra, o ti liberi degli anni Ottanta, dei loro cliché e della loro barbarie mascherata da modernità o, purtroppo, per te non ci sarà un domani.

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