Iran. Lunga la strada per i diritti umani

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Dal 7 ottobre, da quando è iniziato il nuovo conflitto tra le forze armate israeliane e i gruppi armati di Hamas, sono state uccise almeno 10mila persone nella striscia di Gaza e almeno 1400 in Israele; e ci sono almeno 200 persone ostaggio di Hamas. A questi numeri dobbiamo aggiungere i 39 giornalisti – al 10 novembre – che sono stati uccisi nel pieno svolgimento delle loro funzioni. Stavano facendo il loro lavoro di cronisti e per questo sono morti. Una guerra nella guerra.

Un’indagine di Reporter senza frontiere ha stabilito che Israele ha preso di mira i giornalisti in un attacco aereo del 13 ottobre che ha ucciso Issam Abdallah della Reuters e ne ha feriti altri sei. Ufficiali israeliani hanno negato di aver preso di mira i giornalisti e hanno detto che stavano esaminando l’incidente. Aspettiamo notizie. Alla fine di ottobre, ufficiali militari israeliani hanno informato Reuters e Agence Presse France che non potevano garantire la sicurezza dei loro dipendenti che operavano nella Striscia di Gaza. Eppure i corrispondenti nei contesti di guerra sono sempre riconoscibili attraverso giacca ed elmetto blu con la scritta PRESS ben visibile.

Giornalisti, reporter e fotoreporter che sono a Gaza in questo momento si trovano ad affrontare un numero di morti in continua crescita e senza precedenti. Le redazioni occidentali stanno beneficiando direttamente dal loro lavoro sul campo, ma se non possiamo garantire la loro protezione, allora come possiamo dire di vivere in un mondo libero e democratico?

I giornalisti possono e devono criticare i governi quando questi violano la libertà di stampa, come quando hanno criticato il governo saudita per l’omicidio di Jamal Khashoggi e il governo russo per la detenzione del giornalista americano Evan Gershkovich. Allo stesso modo bisogna essere liberi di poter criticare i governi del resto del mondo, senza sottomettersi a doppi standard ingiustificabili.

Noi pretendiamo che i giornalisti facciano il loro lavoro perché la libertà di stampa è necessaria per avere una società civile informata e consapevole delle azioni dei propri governi. Il giornalismo ci serve perché chiede ai governi di rendere conto delle proprie decisioni. E’ per questo che il 3 maggio di ogni anno celebriamo la giornata mondiale per la libertà di stampa, ma il prossimo anno corriamo il rischio di celebrarla ricordando tutti coloro che sono morti durante il loro lavoro in teatri di guerra.

La stampa internazionale, così come l’intera popolazione civile nella Striscia di Gaza assediata, sta affrontando estese interruzioni di corrente, carenza di cibo e acqua, il collasso del sistema sanitario. Queste persone sono state uccise mentre di giorno lavoravano visibilmente come giornalisti come di notte nelle loro case. Anche le loro famiglie sono state uccise. Wael Dahdouh, capo dell’ufficio di Al Jazeera a Gaza, ha appreso in onda il 25 ottobre che sua moglie, i suoi figli e altri parenti erano stati uccisi in un attacco aereo israeliano. Un attacco del 5 novembre contro la casa di Mohammad Abu Hassir della Wafa News Agency ha ucciso lui e 42 membri della famiglia.

Israele ha bloccato ulteriori ingressi della stampa straniera, limitato pesantemente le telecomunicazioni e bombardato gli uffici stampa. Nell’ultimo mese sono state colpite circa 50 sedi dei media a Gaza. Le forze israeliane hanno esplicitamente avvertito le redazioni che “non possono garantire” la sicurezza dei propri dipendenti dagli attacchi aerei. Considerata la prassi decennale di prendere di mira letalmente i giornalisti, le azioni di Israele mostrano una soppressione della libertà di parola su larga scala.

Non possiamo dimenticare la tragica uccisione di un’altra giornalista in un territorio non molto distante: Shireen Abu Akhle, davanti al campo profughi di Jenin lo scorso anno. Shireen Abu Akleh, una giornalista esperta di Al Jazeera, rispettata per la sua ampia copertura di Palestina e Israele, è stata colpita alla testa l’11 maggio 2022 mentre seguiva un raid militare israeliano nel campo profughi di Jenin nella città di Hebron in Cisgiordania. Indossava un giubbotto blu con la scritta “PRESS” e un casco. La scorsa settimana è stato distrutto da bulldozer israeliani anche il memoriale costruito sul luogo della sua uccisione.

La verità fa paura. La libertà di stampa, di cronaca e di pensiero sono strumenti fondamentali per la protezione dei diritti umani, e per questo spaventano. Ma noi abbiamo bisogno di difendere questi diritti fondamentali per la nostra esistenza e per l’esistenza della democrazia. Ed è per questo che continuiamo a chiedere all’esercito israeliano e ai gruppi armati palestinesi di garantire la sicurezza per i giornalisti che lavorano nella striscia di Gaza e per le loro famiglie, affinché si consenta alla stampa internazionale di esercitare il diritto/dovere di informare su quanto sta accadendo in quel teatro di guerra.


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