In Italia c’è davvero libertà di stampa quando si parla di clima?

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In Italia potremmo avere un problema di libertà di informazione sul cambiamento climatico a causa dell’eccessiva dipendenza dei nostri media dagli investimenti pubblicitari dell’industria del fossile. A sollevare la questione è l’Ong Greenpeace Italia, che oggi ha pubblicato i risultati di un’indagine realizzata dall’Osservatorio di Pavia fra maggio e agosto 2023, che ha monitorato la copertura mediatica sulla crisi climatica. “In Italia non c’è libertà di stampa sul clima e questo è un pericolo per il pianeta e per le nostre vite,” afferma Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.
La ricerca dell’Osservatorio di Pavia ha analizzato la quantità e la qualità delle notizie sulla crisi climatica pubblicate dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7, oltre a 20 testate di informazione su Instagram.
“Se guardiamo ai telegiornali, in Italia meno del 3 per cento delle notizie accenna al problema,” afferma Sturloni. “Se volete fare un paragone, durante l’emergenza del Covid forse era il contrario, il 3 per cento delle notizie non ne parlava.” 

Secondo Sturloni, ancor più grave è la modalità di  questa copertura mediatica: “Non si nominano quasi mai cause e responsabili, in particolare i combustibili fossili e le aziende del gas e del carbone,” afferma. “Sui media italiani chi ha più voce quando si parla di clima sono le aziende, che parlano di più di clima più di qualsiasi altro attore.”

Liberi di parlare di clima?

I dati dell’Osservatorio delineano un racconto scarso e equivoco della crisi climatica, nonostante l’arco temporale analizzato sia tra il 1 maggio e il 31 agosto, quando in Italia si sono abbattute l’alluvione in Emilia Romagna, diverse emergenze incendi e le ondate di calore che hanno contribuito a rendere il 2023 l’anno più caldo mai registrato sul PianetaSecondo l’indagine, sui telegiornali solo il 2,7% delle notizie trasmesse hanno citato la crisi climatica, principalmente per parlare degli eventi estremi (54%), lasciando a margine la narrazione delle cause, come i combustibili fossili e la decarbonizzazione (citati dal 10,5% delle notizie). Dati analoghi emergono nei giornali cartacei: la questione climatica è stata citata su 3,3 notizie al giorno, ma in genere (62,5% dei casi) solo marginalmente e nella stragrande maggioranza degli articoli (83,7%) senza citare alcuna causa. Il dato che colpisce di più è che il 18% degli articoli ha diffuso argomenti apertamente negazionisti o di opposizione agli interventi per contrastare la crisi climatica.
Secondo Greenpeace, questi risultati non sono casuali: “La dipendenza economica della stampa italiana dall’industria dei combustibili fossili è confermata dall’elevato numero di pubblicità di compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche presenti sui cinque quotidiani esaminati,” afferma l’associazione. 

Il monitoraggio dell’Osservatorio di Pavia ha analizzato la quantità di inserzioni di aziende “inquinanti” del mondo del fossile nei principali media. Il report conta nei mesi considerati 337 pubblicità di aziende del fossile (come Axpo, Eni, Edison o Enel) e dell’automotive pubblicate sui cinque principali quotidiani. L’osservatorio sottolinea la presenza come sponsor di questi marchi anche in iniziative culturali di valore mediatico, come il Festival dell’Economia di Trento (Enel main sponsor e poi Snam, Terna, Yamaha), o anche in eventi dedicati specificamente alla sostenibilità, come il Green & Blue festival del gruppo GEDI/Repubblica (sponsor A2A, e.on, Edison, Enel, Stellantis) o il master post laurea in “Sostenibilità e green management” della RCS Academy Business School (aziende partner A2A, Italgas, ACEA, Sorgenia, Snam).

Una questione d’indipendenza

Nel 2022 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo delle Nazioni Unite che è la massima autorità scientifica sui cambiamenti climatici, ha scritto in uno dei suoi rapporti che i media hanno “un potere trasformativo” che può essere usato per accelerare gli sforzi per ridurre o prevenire le emissioni di gas serra, ma può anche essere usato per lo scopo opposto. “In alcuni casi, la diffusione di notizie scientificamente prive di fondamento da parte di movimenti organizzati ha favorito la polarizzazione delle opinioni, con implicazioni negative sulle politiche sul clima,” ha scritto il gruppo di esperti. L’IPCC ha anche sottolineato come la regola del giornalismo di rappresentare “entrambi i lati di una controversia” abbia finito troppo spesso per amplificare tesi antiscientifiche che continuano a mettere in discussione l’origine antropica dell’emergenza climatica. 

Uno studio pubblicato nel 2020 ha anche dimostrato empiricamente come investimenti pubblicitari sui giornali statunitensi da parte dell’industria dell’automotive abbiano avuto la capacità di “spostare il tono delle notizie verso lo scetticismo.” Secondo lo studio, questo fenomeno può contribuire a spiegare le dinamiche del dibattito sul clima negli Stati Uniti, dove nel 2019 “solo il 66% della popolazione credeva nell’origine antropica del cambiamento climatico,” creando spazio per le tesi negazioniste anche tra la politica. A fronte di questo scenario, alcuni media nel mondo sono corsi ai ripari. Il caso più celebre è probabilmente quello del Guardian, che dal 2019 ha formalizzato “un impegno sul clima”. Tra le azioni proposte, il quotidiano britannico ha annunciato nel 2020 la scelta di non accettare più inserzioni dai gruppi dei combustibili fossili.

“La nostra scelta è conseguenza degli sforzi che per decenni questa industria ha fatto per contrastare un’azione efficace sul clima da parte dei governi in giro per il mondo,” ha argomentato Anna Bateson, amministratore delegato del gruppo. 

Ispirati dall’iniziativa del Guardian, da più di un anno Greenpeace Italia ha proposto ai giornali in Italia di aderire a un simile impegno “a ridurre progressivamente o a eliminare ogni forma di finanziamento proveniente dall’industria dei combustibili fossili” e “ridurre lo spazio offerto alle aziende inquinanti nel discorso mediatico sulla crisi climatica.” Ad oggi tra le principali testate nazionali solo Il Fatto Quotidiano ha accettato di sottoscrivere l’impegno.


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