Lo spettro del golpismo in Africa

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Uno spettro si aggira per l’Africa: è lo spettro del golpismo. Dal 2020 si contano ben 8 colpi di stato in sei nazioni: Gabon (agosto ’23), Niger (luglio ’23 mentre un altro fu sventato nel marzo ‘21), Burkina Faso (il primo in gennaio ed il secondo nel settembre del ’22), Guinea (settembre ’21), Ciad (aprile ’21) e Mali (ancora un doppio golpe nell’agosto del ’20 e nel maggio del ’21).

È un vento di tempesta che dal Sahara soffia fin sulle coste tropicali dell’Africa centrale: è quello che i politologi definiscono il contagio dell’autocrazia, un fenomeno però diverso dalla endemica instabilità politica che caratterizza il continente fin dagli anni dell’indipendenza postcoloniale.

Secondo una ricerca di due studiosi statunitensi, in Africa si sono registrati oltre 200 tentativi di putsch (di cui la metà coronati dal successo) dal 1960 al 2000, gli anni appunto della decolonizzazione e del difficile cammino verso la libertà e l’autonomia. In particolare, tra il 1960 ed il 2000 c’è stata una media di 4 tentativi all’anno di sovvertimento delle leadership al potere, con una lieve concentrazione tra il 1960 ed il 1969, ovvero gli anni immediatamente successivi al conseguimento dell’indipendenza dalle potenze coloniali. Per gli amanti delle statistiche, è il Sudan ad aggiudicarsi il titolo della nazione africana che ha ospitato il maggior numero di colpi di stato: ben 18 (di cui 6 riusciti) dal 1956 quando ottenne l’indipendenza. Poi dal 2000 al 2019 i golpe si sono attestati intorno alla media di due all’anno. Ma la ripresa dei pronunciamenti militari preoccupò già nel settembre 2019 Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, che denunciò la mancanza di unità della comunità internazionale nel rispondere ai colpi di stato. “Le divisioni geopolitiche stanno minando la cooperazione internazionale mentre sta prendendo piede un senso di impunità, elementi che incrinano ulteriormente la fragile stabilità democratica africana” affermò Guterres, prima che il fenomeno innestasse una brusca accelerazione.

Le molte (e dimenticate) crisi africane oggi, dunque, fanno irruzione con grande clamore nell’agenda politica internazionale. “Il golpe in Gabon (solo ultimo dell’elenco, ndr) è un grosso problema per l’Europa” ha affermato Josep Borrel, responsabile della politica estera dell’Unione Europea. Un problema “tanto grosso” che sarà discusso dai ministri della Difesa della Ue, anche alla luce della forte penetrazione putiniana nel continente (ultima solo in ordine di tempo) che si aggiunge a quella di Cina, Arabia Saudita, Turchia. La stagione dei golpe africani investe come uno tsunami l’Europa perché qui hanno origine i flussi migratori e qui si concentrano risorse energetiche e minerarie.

Sicuramente nelle nazioni interessate di recente dai colpi di stato, i sentimenti antifrancesi sono saldamente radicati, utilizzati dai jihadisti per soffiare sul fuoco della sudditanza neocolonialista a tal punto da mettere in discussione governanti a lungo troppo compiacenti con Parigi, se non alle dirette dipendenze. Senza dimenticare lo sfruttamento francese delle ricchezze: uranio dal Niger, petrolio e cacao dal Gabon, e via sottraendo.

In questi paesi ci sono state manifestazioni di massa che inneggiavano a Putin, indicato come un amico e benefattore del popolo. Nel caso del Mali e del Burkina Faso, i golpisti hanno cacciato i contingenti francesi schierati per contrastare il terrorismo jihadista spalancando le porte ai mercenari russi della Wagner considerati più incisivi anche nel ridimensionamento delle milizie separatiste. Ricorrendo ad un collaudato copione, troppo spesso i militari golpisti accusano i governi civili di corruzione e incapacità nel garantire la sicurezza della popolazione ma sono essi stessi i primi protagonisti di clamorose sconfitte belliche rivelandosi nella realtà come motori della degenerazione sociale.

Ma assistiamo anche ad un cambio di narrazione tra gli intellettuali africani che bocciano le democrazie occidentali associandole allo sfruttamento ed al neocolonialismo, insomma un puro strumento per perpetuare l’impoverimento del continente.

Anche gli strumenti politici mostrano ormai la corda. L’Ecowas (la comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale) aveva minacciato un intervento militare multinazionale per ripristinare il governo civile in Niger. Ma ha fatto rapidamente marcia indietro. Troppi i rischi di impelagarsi in una strada senza uscita e troppe anche le resistenze della stessa Nigeria, il gigante oggi a capo dell’organismo comunitario.

L’Africa reclama quel posto in prima fila che le è stato sempre negato.

 

Pubblicato sulla rivista mensile “CONFRONTI” n.10 ottobre 2023


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