I ragazzi di Torino e lo spirito del tempo

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Avevo pensato di scrivere un omaggio a tre simboli dell’anti-fascismo mondiale come Anna Magnani, Pablo Neruda e Carlo Lizzani, di cui quest’anno ricorrono importanti anniversari. Avevo pensato di aggiungervi una riflessione dedicata a Jamal Khashoggi, il giornalista saudita assassinato e fatto a pezzi cinque anni fa nel consolato saudita a Istanbul, qualcuno sospetta su ordine di Moḥammad bin Salmān. Poi, però, ho visto ciò che è accaduto oggi a Torino e mi sono detto che il miglior modo per rendere omaggio a personalità che hanno fatto della lotta contro tutti i fascismi la propria ragione di vita fosse dedicare le mie riflessioni ai ragazzi e alle ragazze che sono stati presi a manganellati a Torino, solo perché si sono permessi di andare a manifestare il proprio dissenso nei confronti della Presidente del Consiglio, ospite al Festival delle Regioni.
È inutile ripetere che siamo contrari a ogni forma di violenza e di eccesso, fosse anche di carattere verbale, perché questo è il cardine della nostra associazione e non abbiamo alcuna intenzione di cambiare atteggiamento, meno che mai in una stagione in cui pressoché ovunque è venuto meno il buon gusto e dilaga la crudeltà.
Ci si interroga su quali possano essere le conseguenze di questa repressione. Una nuova Diaz la escluderei a priori, per il semplice motivo che oggi esistono, per fortuna, tecnologie in grado di scongiurare una simile mattanza: in men che non si dica emergerebbero, infatti, filmati e prove che purtroppo mancarono ai PM che si occuparono di quel processo, rendendo assai difficoltoso l’accertamento della verità. Ciò verso cui mi sembra che stiamo scivolando è, piuttosto, una forma di autoritarismo strisciante che ogni tanto, appena se ne presenta l’occasione, dà i suoi segnali. Più che una nuova Diaz, c’è da temere, dunque, tante via Tolemaide, tante Corso Gastaldi e, continuando di questo passo, tante caserme di Bolzaneto, magari senza la ferocia di allora ma con modalità comunque in grado di terrorizzare le nuove generazioni, scoraggiandole dal coltivare la propria passione civile. Siamo, insomma, al cospetto di una forma di dissuasione dalla partecipazione alla cosa pubblica, che investe ogni ambito e raggiunge l’apice quando a finire nel mirino della contestazione è la Premier o qualche altra figura di primo piano del governo.
Il messaggio che è stato inviato a ragazze ragazzi, oggi a Torino, è che la piazza può essere pericolosa, che la critica ha un costo e che l’espressione delle proprie idee, in forma pacifica ma convinta, non passa inosservata. Se c’è un danno che Genova ha arrecato al Paese, fra i tanti, è proprio questo: mettere a tacere una generazione e irretire le successive. I ventenni contemporanei, che per ragioni biografiche non possono ricordarsi quelle vicende, sembrano voler ripercorrere la stessa strada, battendosi coraggiosamente per le proprie idee e facendo sentire con forza la propria disapprovazione nei confronti di un esecutivo che non contempla il dialogo e il confronto e reputa la repressione l’unico modo per regolare il nostro vivere civile. Repressione dei rave party, repressione a scuola, repressione a Caivano, repressione nelle periferie, repressione ovunque, senza che mai la parola “umanità” affiori in un solo discorso, senza che mai l’ascolto del disagio e del malessere sociale sia preso in considerazione, senza che un appello che sia uno a evitare misure inutili e controproducenti sia tenuto da conto. Abbiamo stima di questa gioventù militante e la esortiamo ad andare avanti, mettendola tuttavia in guardia dai rischi che corre in una fase storica così drammatica.
In una giornata come questa, mi tornano in mente la Magnani che grida “Francesco!” in “Roma città aperta”, i versi di denuncia sociale di Neruda, i capolavori di Lizzani dedicati alla Resistenza e agli ultimi giorni di Mussolini e la battaglia di Khashoggi contro il regime che continua a egemonizzare il suo Paese, servito e riverito da un Occidente che i despoti, a cominciare da Putin, prima li corteggia e poi, quando gli fa comodo, si ricorda che sono tali. Mi tornano in mente queste personalità straordinarie perché mi domando cosa avrebbero detto, scritto e realizzato di fronte a un clima del genere, a uno spirito del tempo tanto barbaro, a una follia diffusa che non risparmia più alcun segmento della società.
Oggi, a Torino, abbiamo visto morire un altro pezzo della nostra Costituzione anti-fascista ma, soprattutto, abbiamo assistito all’ulteriore incrinatura dei rapporti fra i giovani e le forze dell’ordine, che dovrebbe costituire un pilastro del nostro state insieme e che, purtroppo, è stato invece minato da troppi anni di ordini volti a trasformarci in una democrazia di nome ma non più di fatto.
Concludo con una notazione sul linguaggio. Perché il linguaggio crea, plasma e modella. E il linguaggio che abbiamo sentito utilizzare in una città che è stata anche capitale è il linguaggio di uno Stato che ha smarrito se stesso. È il linguaggio della nostra Bolzaneto interiore, della quale non ci siamo mai liberati, nella quale abbiamo intrappolato sogni e speranze e alla quale abbiamo consentito, e continuiamo a consentire, di corrodere il nostro tessuto civico, fino a quando di questo Paese, della sua storia, dei suoi valori e delle sue conquiste non resterà più nulla.

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