Repubblica islamica della morte

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Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Saeed Yaghoubi, arrestati durante le recenti manifestazioni nel mese di novembre 2022, sono stati giustiziati venerdì all’alba, nella prigione Dastgerd d’Isfahan. Con loro sono stati impiccate anche altre quattro persone accusate di reati come il traffico di droga e l’omicidio. I tre manifestanti erano stati condannati a morte con l’accusa di moharebeh (inimicizia contro dio) dal Tribunale della Rivoluzione di Isfahan lo scorso 9 gennaio. Durante il processo hanno presentato come prova contro i tre, le forzate confessioni ottenute con la tortura. Le loro condanne a morte sono state confermate dalla Corte Suprema il 9 maggio. Il 17 maggio. Le famiglie dei tre hanno invitato la popolazione ad unirsi a loro fuori dal carcere nel tentativo di fermare l’esecuzione. Dall’inizio dell’anno 264 persone sono state impiccate nella Repubblica Islamica. 90 esecuzioni solo negli ultimi 18 giorni. 13 esecuzioni solo nella giornata di giovedì 18 maggio. Una macchina infernale che sembra non fermarsi. “L’esecuzione è il nostro unico talento”, ha detto di recente Molavi Abdolhamid, leader della comunità sunnita iraniana, il quale ha poi aggiunto che “le esecuzioni non fermeranno il popolo”. Delle affermazioni che rivelano una verità innegabile. Poco dopo la sua fondazione nel 1979, la Repubblica islamica ha giustiziato un certo numero di alti comandanti militari e funzionari del vecchio regime dopo processi farsa che sono durati pochi minuti e senza riconoscere agli imputati nessun diritto, neanche di essere assistiti da un avvocato. La Repubblica islamica ha continuato con le esecuzioni negli ultimi 44 anni, collocandosi ogni anno al secondo posto per il numero delle impiccagioni, dopo la Cina. Calcolando il numero delle esecuzioni rispetto alla popolazione, la Repubblica Islamica si collova in testa a questa macabra lista.  Gli imputati arrestati con la presunta accusa di “attentare contro la sicurezza nazionale” sono costretti a scegliere il proprio difensore da una lista elaborata ed approvata dall’Autorità Giudiziaria.Anche se ormai è accertato che la pena capitale anche per reati cosiddetti comuni non è un deterrente, nella Repubblica Islamica si emettono sentenze capitali per una ventina di reati, anche l’uso degli alcolici, proibito per legge, se ripetuta tra volte comporta la pena di morte, cosi come avere relazioni omosessuali.  Il regime islamico utilizza la pena capitale per intimidire e terrorizzare la popolazione. Non è un caso che il numero delle esecuzioni aumentano ogni talvolta che il regime si trova in difficoltà oppure quando la gente scende in strada per protestare. Esecuzioni che regolarmente diminuiscono quando si tengono le elezioni per far crescere il consenso. Ciò che gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato tuttavia è che questa politica è sempre meno efficace. Gli iraniani ormai sono decisi a rovesciare questo regime medioevale e lo gridano apertamente nelle strade dell’Iran. Come hanno fatto anche venerdì 19 giugno dopo le ultime tre esecuzioni.C’è una correlazione diretta tra il clima politico in Iran e il numero di esecuzioni. Le esecuzioni, anche per reati non politici, sono aumentate con le proteste a livello nazionale scatenate dalla morte a settembre di Mahsa (Jina) Amini, mentre era sotto la custodia della polizia morale a Teheran. Le proteste si sono trasformate in una “rivoluzione nazionale” e in un movimento globale al grido di “donna, vita, libertà”. La minoranza beluci continua da mesi a protestare ogni venerdì a Zahedan, il capoluogo  della regione sud-orientale del Sistan e del Baluchistan. Nel 2022 sono stati mandati sulla forca 174 beluci. La cifra ammonta al 30% del totale delle esecuzioni del 2022. È una cifra significativa, dato che i beluci costituiscono solo il 3 per cento della popolazione iraniana. Quasi la metà delle 90 persone giustiziate in Iran negli ultimi 18 giorni erano beluci. La maggior parte dei beluci condannati a morte era accusata di traffico di droga. La maggior parte del traffico illecito di droga in Iran è controllato da bande criminali che presumibilmente lavorano a stretto contatto con i Pasdaran (le Guardie della Rivoluzione Islamica). Almeno questo risulta da molte ricerche effettuate da organismi internazionali. Pertanto, l’esecuzione di un giovane beluci che è un corriere della droga non può costituire una misura preventiva. La domanda è perché un belucio rischierebbe la vita per 10 o  20 euro, quanto sono pagati i “cammelli” di droga? La risposta è semplice: mezzo milione di beluci non ha la carta d’identità e pertanto nemmeno il codice fiscale, e di conseguenza, sono privati dei loro diritti civili fondamentali, come l’assistenza sanitaria, l’accesso all’istruzione pubblica e all’occupazione, ammesso che possano trovare lavoro. Come può un belucio privato dei documenti,  guadagnarsi da vivere onestamente? L’unica alternativa è trasportare la droga o il contrabbando di benzina oltre frontiera verso il Pakistan. In base al Qisas, ossia la Legge del Taglione, nel 2022 sono state eseguite 288 condanne a morte,  vale a dire il 49% del totale delle esecuzioni nel paese. Qui bisogna ricordare Mahatma Gandhi che a questo proposito disse: “occhio per occhio non farà che rendere cieco il mondo intero”. Secondo la legge del Qisas spetta ai parenti della vittima decidere o meno sull’impiccagione di chi ha ucciso il loro caro. Ogni anno in Iran cresce il numero dei parenti delle vittime che rinunciano a questo “diritto”. Di fronte a 288 esecuzioni nel 2022 in base a questa legge a 624 detenuti è stata risparmiata la pena di morte dopo che le famiglie delle vittime hanno accettato di rinunciare a questo “diritto”. In molti casi giudiziari, soprattutto quelli per i reati ritenuti politici, il verdetto è stato già emesso in partenza ed il processo è solo uno spettacolo per dare una parvenza di legalità ad un assassinio di Stato. L’esperienza recente ha dimostrato che la Repubblica islamica fa marcia indietro sotto le pressioni concertate della comunità internazionale. Ad esempio, sotto la pressione della comunità internazionale, il regime ha sospeso la pratica medievale della lapidazione. Sfortunatamente, oggi il regime tiene l’Occidente in ostaggio con il suo programma nucleare. I paesi occidentali si limitano a proteste tiepide per non compromettere il negoziato sul nucleare iraniano.Una protesta che è stata tiepida quando negli ultimi cinque mesi il regime ha impiccato anche due cittadini iraniani con doppia nazionalità: Alireza Akbari, il cittadino britannico di origine iraniana è stato impiccato con l’accusa dello spionaggio nel mese di gennaio, mentre a maggio è finito sulla forca,  Farajollah Habib Chaab, con doppia nazionalità iraniana e svedese, accusato di appartenere a un gruppo armato. Altri due cittadini con doppia cittadinanza, il medico l’iraniano-svedese, Ahmad Reza Jalali, e il giornalista tedesco-iraniano, Jamshid Sharmahd, sono nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione.

 


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