Morti sul lavoro. Il tempo perduto

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Giovedì 13 Aprile 2023 è stato un giorno tragico: in ventiquattro ore sono morte dodici persone sul lavoro. Una ogni due ore.

Così dall’inizio dell’anno, tre mesi e mezzo, il computo dei lavoratori caduti sale a 289. Quasi tre morti al giorno. Ogni giorno.

Nessuno porta in prima pagina queste notizie, mai. Perché ciò accada serve una strage di proporzioni bibliche: una Thyssen-Krupp, una Marcinelle. Stragi che fanno tanto rumore ma che non hanno colpevoli. E, se pure li hanno, questi non scontano mai la pena. Mai. Perché le vite, i corpi schiacciati, bruciati, spezzati dei lavoratori pesano come macigni nella vita dei loro cari, degli amici, dei figli. Ma non contano niente nelle uggiose giornate del Palazzo. Non finiscono nei titoli dei telegiornali. Noi, tutti, siamo troppo occupati dai litigi tra le comari del Terzo Polo che strepitano e si accapigliano in tinello. Siamo intenti a fare la guerra ai poveri del mondo, ai fannulloni, agl’imbrattatori di monumenti. No, noi non ci occupiamo dei morti sul lavoro. La strage urla, insanguina l’asfalto, le impalcature, le officine. Ma noi rispondiamo col silenzio a quelle urla. Siamo tutti anestetizzati.

E allora? Allora ripartiamo dalla poesia.

Devant la porte de l’usine

le travailleur soudain s’arrête

le beau temps l’a tiré par la veste

et comme il se retourne

et regarde le soleil

tout rouge tout rond

souriant dans son ciel de plomb

il cligne de l’œil

familièrement

Dis donc camarade Soleil

tu ne trouves pas

que c’est plutôt con

de donner une journée pareille

à un patron?

(Davanti alla porta dell’officina

l’operaio si ferma all’improvviso

il bel tempo l’ha preso per la giacca

e non appena lui si gira

e guarda il sole

tutto rosso tutto tondo

sorridente nel suo cielo di piombo

gli fa l’occhiolino

confidenzialmente

“Di’ un po’, compagno Sole,

non trovi che sia

un po’ da coglioni

regalare una giornata come questa

ai padroni?”)

Jacques Prévert, il poeta-sceneggiatore e militante francese inserì questo testo nella raccolta “Paroles”, che uscì nel 1946.

S’intitola “Le temps perdu”, il tempo perso. E perché il tempo dell’operaio sarebbe perduto? Perché è tempo buttato via?

La risposta è semplice: perché, suggerisce il poeta, passare una bella giornata dentro un fabbrica è, letteralmente: plutôt con, piuttosto stupido.

Sembra una morale semplicistica, sprezzante, inattuale? Roba da upper class, opinioni di politici della ZTL: gente che se lo può permettere, può decidere di non entrare in fabbrica, in ufficio, gente libera di non andare al lavoro. C’è il sole? Allora passeggiamo. È vero: è roba da privilegiati.

Si sa: i poeti non danno risposte. I poeti pongono domande, spesso nemmeno troppo esplicite. E quindi facciamoci caso: la raccolta di Prévert ha la stessa età della Repubblica italiana, nata proprio nel Giugno del 1946; e ha due anni in più della Costituzione, quella che comincia con l’articolo 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Ecco: c’è dell’ironia amarissima, nell’eterogenesi dei fini che – visto il testo fondamentale – dobbiamo onestamente registrare. Il popolo è sovrano, leggiamo. Ma – quando e se lavora (non è scontato) – rischia la vita, ogni giorno, nell’indifferenza di tutti gli altri, la nostra.


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