Verità e giustizia per Ilaria e Miran. Continuiamo a pretenderla

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Sicuramente i padri costituenti non l’hanno immaginato neanche in preda agli incubi che quel testo (“la Costituzione più bella del mondo”, Benigni dixit), pietra miliare per la costruzione di una nuova Italia, sarebbe stato tradito e vilipeso nel corso degli anni successivi dalle pagine oscure di terrorismo, mafia, affari loschi, su cui è stato posto il segreto di stato: una formula che nella sua gravosità burocratica nasconde (o meglio sigilla) l’indicibile. Insomma, quello che lo Stato non può e non vuole dire, forse per vergogna. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, hanno dovuto subire anche questo oltraggio da morti.
In soldoni la persona che confidò ai nostri agenti dei servizi segreti notizie che collegavano gli omicidi della giornalista e del cameraman al traffico di armi è irreperibile e quindi non può dare il consenso per essere sentito come testimone nelle indagini.
L’intera vicenda giudiziaria del duplice assassinio dei nostri colleghi è un manuale di disinformazia che potrebbe intitolarsi “Come navigare sicuri nel porto delle nebbie”, prefazione del Conte zio di manzoniana memoria: insomma quello di “sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”.
Da 29 anni attendiamo di sapere chi e perché aprì il fuoco su una giornalista di 33 anni ed un cineoperatore di 45 che ebbero l’unico torto di volere fare bene e con coscienza il proprio lavoro.
Domande fino ad oggi senza risposta. Giorgio e Luciana Alpi fino all’ultimo giorno delle loro esistenze hanno chiesto di conoscere la verità. Il solo modo per farsi una ragione della morte di quell’unica e adorata figlia. Tre persone che si amavano moltissimo tra loro.
Non ci stanchiamo di chiederla anche noi, certo con più capelli bianchi, nel migliore dei casi. Ma siamo caparbi.


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