Olga Blumenthal, una professoressa travolta nella Shoah

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Oggi, venerdì 27 gennaio 2023 si celebra in Italia la giornata della memoria, voluta dal Parlamento con un’apposita legge istitutiva, la n. 211 del 20 luglio 2000.

Venne scelta una data simbolo: l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz e la liberazione dei sopravvissuti del lager da parte dell’esercito dell’Armata Rossa.

La parola «Shoah» sta ad indicare lo stermino, il genocidio pensato, progettato, portato avanti da Hitler e dall’apparato militare della Wehrmacht con razionale efficienza e lucida efferatezza, avvalendosi di tecnologie e impianti realizzati ad hoc, per sterminare un popolo intero (almeno 6 milioni di ebrei) e altri milioni di persone (dagli oppositori politici ai disabili, dagli omosessuali ai Rom). Pur non essendo in grado, a tutt’oggi, di formulare stime precise, si parla di almeno 15 milioni di persone.

La memoria della Shoah deve continuare ad interrogarci ogni giorno, non solo il 27 gennaio, per capire come sia potuto succedere tutto ciò e far sì che una simile tragedia non si ripeta mai più. Le responsabilità non sono solo di chi ha impartito gli ordini e di chi se ne è fatto diligente esecutore, ma anche di chi quelle atrocità le ha favorite, di chi è rimasto indifferente, di chi ha occultato e negato la Shoah. Riguarda noi europei e noi italiani, complice il fascismo di Mussolini che nel 1938 promulgò le famigerate leggi razziali. Mario Rigoni Stern che fu deportato nel campo di Hohenstein perché dissidente politico, sulla Shoah ebbe a dichiarare: “La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare. È il testamento che ci ha lasciato Primo Levi”.

Per onorare l’odierna giornata della memoria abbiamo pensato di dedicare lo spazio della nostra rubrica “Dalla parte di lei” a una donna ebrea veneziana, vittima della Shoah, le cui deboli tracce lasciate nella storia della sua città sembravano essersi volatilizzate assieme al fumo dei camini di  Ravensbrük, dove finì i suoi giorni.

Ultima discendente di una facoltosa famiglia, nessuno cercò di notizie di Olga Blumenthal alla fine della guerra. Unica attestazione affidata alla Storia è il ricordo, che inaugurando l’anno accademico 1945-46, il Rettore dell’Università di Ca’ Foscari, Gino Luzzatto rivolse alla collega e amica che la “vergogna” del secolo aveva strappato alla vita assieme a sei milioni di donne e uomini «inermi e inoffensivi». Più di settant’anni dopo, una pietra d’inciampo collocata nei pressi di Ca’ Foscari nel gennaio 2018, ha fatto riemergere dall’oblio e dall’invisibilità la vita di questa donna.

Emilia Peatini,  si è laureata in storia presso l’università Ca’ Foscari di Venezia. Ha insegnato nella scuola primaria, occupandosi contemporaneamente di formazione degli insegnanti, con particolare attenzione alla didattica della Storia, della Geostoria e dei Diritti umani. Ha pubblicato Olga Blumenthal, storie di una famiglia e di una vita, per la Cierre di Verona, nel 2022,  e altri saggi in «Venetica» (Cierre) rivista degli Istituti per la Storia della Resistenza del Veneto e in DEP, «Deportate, Esuli, Profughe. Studi sulla memoria femminile», periodico dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

AC

Olga Blumenthal, una professoressa travolta nella Shoah

di Emilia Peatini

Dal gennaio 2018, a Ca’ Foscari, una pietra d’inciampo ricorda Olga Blumenthal, professoressa di tedesco, catturata nella sua casa nel novembre del 1944, deportata e uccisa nel campo di sterminio di  Ravensbrück.

Olga Blumenthal cominciò ad insegnare a Ca’ Foscari nel 1919, al termine della guerra. Il periodo bellico aveva rappresentato una lunga e drammatica interruzione degli studi. Il direttore di Ca’ Foscari istituì corsi accelerati di recupero per aiutare gli studenti che intendevano riprendere la scuola. Olga si inserì nel prestigioso Istituto superiore di scienze economiche di Venezia, come insegnante di recupero, ma l’anno successivo, il 1920, era già assistente del germanista Belli.

Una delle rarissime immagini che ritraggono Olga Blumenthal è la fotografia di un gruppo di laureati della sezione magistrale del 1920. Nel gruppo esclusivamente virile di volti giovani e maturi, lei si distingue per un elegante cappello dalla tesa ampia e per l’eleganza del portamento, lo sguardo perso all’orizzonte e i lineamenti ancora belli. È impossibile non notarla: è una donna matura ed elegante. Con la sua presenza aprirà le porte della Scuola superiore, finora esclusivamente maschile, ad altre donne, insegnanti e studentesse. Poco discosto, un professore girato verso di lei con lo sguardo ansioso, sembra volersi sincerare che tutto vada bene. Non sono estranei: il professor Gilberto Secrétant, supplente di lingua e letteratura italiana del professor Fradeletto, aveva atteso con impazienza l’entrata di Olga a Ca’ Foscari.

Olga e Gilberto erano due intellettuali veneziani innamorati, non più giovanissimi. Entrambi insegnanti, frequentavano l’Ateneo, il Circolo Filologico, la Società Dante Alighieri. Gilberto era un organizzatore instancabile, mentre Olga, al suo fianco, rimaneva nell’ombra. Tanto vicini per lungo tempo da far pensare a esistenze parallele, impossibili da unire, impedite da traversie e contrasti, se non nel momento tragico e conclusivo della morte di Gilberto. Alcune analogie nelle loro storie familiari sembravano presagire il loro incontro. Quasi coetanei, figli di un’agiata borghesia cittadina, veneziani di terza generazione, li accomunava anche il periodo di arrivo a Venezia dei loro nonni nella temperie degli anni Venti dell’Ottocento.

Quando fu scattata la fotografia, Olga aveva quarantasette anni, Gilberto, uno di più. Lei è una donna ancora affascinante e molto curata; elegante, le pende sul petto un importante medaglione ovale, un gioiello “da lutto” in uso nel secolo scorso per conservare l’effige di una persona cara. Ne aveva avuti di lutti dolorosi in famiglia! L’ultimo, proprio quell’anno, il suo adorato fratello Alessandro era morto a Berlino.   

La vita con lei era stata avara di felicità, pur essendo nata in una famiglia agiata, colta e perfettamente integrata nell’élite veneziana. I suoi nonni, esponenti di importanti famiglie ebraiche bavaresi, avevano messo sapientemente a frutto le relazioni internazionali di cui godevano per creare a Venezia un’agenzia di trasporti che diventò, nel giro di una generazione, una delle banche più importanti. Il compito di Dorena Neustain, la nonna di Olga, non era stato meno impegnativo di quello del marito: pur rimanendo nell’ambito domestico e dei rapporti sociali con le più importanti famiglie aristocratiche e borghesi, aveva accudito sette figli, guidando i quattro maschi fin da giovanissimi a continuare l’azienda familiare di trasporti via mare, assicurazioni e intermediazioni finanziarie. Le figure di nonna Dorena e di zia Emilia, sorella del padre Carlo, furono determinanti nel periodo dell’adolescenza e degli studi di Olga. Carlo, il più intraprendente dei fratelli, aveva sposato in tarda età la giovanissima Minna Goldsmith, di una potente e ricca famiglia viennese. In quel periodo, Venezia era appena stata annessa al Regno d’Italia, gli affari dei Blumenthal erano fiorenti. Vivevano in un palazzetto in Salizada San Samuele, nel sestiere di San Marco, una residenza ampia e dotata di ogni confort che sarà per Olga la casa della sua vita, dove era nata e dove sarà arrestata. Nel palazzo di San Marco alla morte dei figli maggiori, rimase solo la giovanissima famiglia di Carlo, sempre sotto l’ala protettrice di nonna Dorena, presenza necessaria, perché dopo la nascita dei tre figli, Minna si allontanò da casa e poi definitivamente anche da Venezia. Il matrimonio le aveva riservato solo amarezze, come confidava all’amico, senatore Zanardelli, e la separazione fu dolorosa se Minna dovette lasciare i figli, pur scrivendo di amarli moltissimo. Olga, ancora una bambina, crebbe senza la guida e l’amore della mamma. Alla morte della nonna, pare che Olga abbia trascorso alcuni anni a Trieste, presso la zia Emilia, dove oltre alla compagnia, alla guida e all’affetto della zia, poté frequentare la Scuola commerciale che lo zio Emanuel Edeles aveva fondato in città. Non furono anni facili per Olga, ultima esponente di una straordinaria genealogia femminile: dovette presto lottare per la sua emancipazione. Se lutti e sfortune economiche non avessero condizionato il suo avvenire, Olga avrebbe avuto un destino simile alle cugine triestine: un matrimonio combinato e una dote sostanziosa che le avrebbe garantito solidità per il suo futuro. Si trovò invece molto presto a dover pensare alla sua autonomia: la fortuna di casa Blumenthal era definitivamente sfumata, probabilmente per l’ascesa della Banca d’Italia che segnò il tramonto delle banche private. Olga e il padre si trovarono in una situazione di precarietà.

I Blumenthal erano una famiglia poliglotta: in casa si parlava il tedesco e Carlo conosceva benissimo l’inglese, come scrive nei suoi diari Effie la giovanissima moglie inglese di John Ruskin. Olga trovò lavoro proprio come insegnante di lingua tedesca al Circolo Filologico di Venezia, opera di Maria Pezzè Pascolato e di Gilberto Secrétant, due persone che diventeranno importanti nella vita di Olga: le furono vicine, determinarono molte sue scelte e attraverso le loro vite ci parlano di lei.

Il tema che accomuna la vita di Olga alle esperienze delle donne ebree tra Otto e Novecento è il percorso di emancipazione, definito a volte come la ‘doppia sfida’: familiare, per integrarsi nella vita sociale, e individuale, per liberarsi dalle tradizioni e dal ruolo che la religione ebraica assegnava alle donne e diventare emancipate, mazziniane, poetesse, letterate, filantrope. Le donne Blumenthal avevano intrapreso il loro percorso di emancipazione: Minna Goldsmith, la madre, con la sua ribellione ai dettami della tradizione ebraica, il suo interesse per la politica, ne è l’esempio. Olga dovette pensare prima di tutto all’emancipazione economica, un’autonomia che mantenne fino al 1938, con l’insegnamento al Circolo Filologico e a Ca’ Foscari. Espresse il suo amore per la cultura, per l’arte, per la musica condividendo con Secrétant e Pezzè Pascolato la cura istituzionale del Circolo e poi della Dantesca Veneziana.

Nel 1920 iniziava per lei una carriera nella Scuola più importante della città e cominciava sotto i migliori auspici. Olga era una donna colta, preparata da due decenni di insegnamento delle lingue, libera dai legami familiari perché il padre era morto all’inizio della guerra e libera finalmente anche dalla guerra, che il suo Gilberto, patriota e interventista, aveva tanto caldeggiato. Erano stati anni di lontananza e di sofferenza ma ora, finalmente, avrebbero potuto sposarsi. Nella fotografia del 1920, tuttavia, Gilberto appare affaticato e invecchiato. Il male che lo avrebbe portato via presto già minava il suo carattere vivace e intraprendente. Seguì un periodo di grandi sofferenze e Olga che si curava di lui, per essergli più vicina, lo sposò. Il matrimonio tanto atteso si era finalmente realizzato ma durò pochissimi giorni molto tristi.

La morte lo colpiva ancor giovane, dopo atroci sofferenze, proprio quando egli aveva realizzato un sogno di pace e di felicità, che non si tradusse purtroppo, per parte della sua diletta compagna, prof. Olga Blumenthal, che nel doloroso ufficio di infermiera pietosa.

Per i successivi vent’anni, Ca’ Foscari offrì a Olga Blumenthal solo un incarico precario. Ogni anno aspettava con ansia il rinnovo del contratto che dipendeva molto dal suo rapporto personale con il professor Belli. Nell’immediato dopoguerra, essere donna ed ebrea non rappresentava un impedimento alla riconferma dell’incarico di insegnamento, ma ben presto la politica fascista cominciò a influenzare le scelte della Scuola. La sua carriera ebbe inizio proprio quando il fascismo si affermava, compenetrando ogni settore della vita sociale. Fino al 1925 l’Istituto riuscì a mantenere una discreta autonomia: nonostante il clima politico era stato eletto Direttore della Scuola Gino Luzzatto, un antifascista firmatario del manifesto di Croce, stimato dai colleghi ma inviso alle autorità veneziane. Abilmente orchestrati presto cominciarono i disordini. Luzzatto fu costretto alla dimissioni. Contrariamente all’amico e collega Bruno Trentin, che preferì lasciare l’insegnamento, Gino Luzzatto, ordinario di scienze storiche e sociali, piegò il capo per continuare a insegnare e a fare ricerca. Collaborava con i colleghi d’oltralpe: con Marc Bloch, lo storico delle Annales, finché fu possibile mantenne un rapporto epistolare per condividere gli esiti delle rispettive ricerche.

Luzzatto fu un punto di riferimento determinante per Olga, specialmente dopo la morte di Maria Pascolato nel 1933. Gli avvenimenti del 1925 che avevano coinvolto Luzzatto  furono il passaggio di Ca’ Foscari dalla piena autonomia a una normalizzazione da parte del regime fascista. Il concordato con la Santa Sede del 1929 e la religione cattolica che diventava religione di Stato, era per Olga un serio pericolo: la fine dello Stato laico che aveva accolto e permesso l’integrazione di tanti ebrei nel corso dell’Ottocento, di cittadini che avevano combattuto numerosi, da patrioti, per la formazione dello Stato italiano e nella prima guerra mondiale. A questa criticità si sommava il progetto di allontanare le donne dall’insegnamento superiore.

Olga seppe reagire al mutare delle condizioni: il suo sodalizio con Maria Pezzè Pascolato, ora insegnante nel posto di Gilberto, divenne più forte. Maria l’avrebbe voluta con sé anche in Ateneo, ma Olga vi rimase solo pochi mesi. Pochissimo tempo ma determinante perché l’Ateneo la richiamò nel 1938, a 13 anni dalla revoca, per compilare la scheda del censimento. Fu quella scheda che determinò la sua iscrizione nel registro degli ebrei. Olga dedicava la sua vita all’insegnamento ma condivideva con Maria molte iniziative, come i corsi di alta cultura rivolti agli stranieri nei mesi estivi. Maria rappresentava una sicurezza. Contrariamente a lei, era una persona conosciuta e potente: di un’importante famiglia veneziana conservatrice e fervente cattolica, aveva aderito con convinzione al fascismo, assumendo incarichi di partito, spinta anche dalla conoscenza personale di Benito Mussolini. Forse Maria non fu estranea nemmeno alla decisione di Olga di ricusare l’ebraismo.

Senza alcuna prova, se non il certificato di battesimo, possiamo solo ipotizzare le motivazioni che spinsero Olga alla conversione. Al di là di quelle spirituali, forse ci fu il desiderio di uniformarsi al processo di fascistizzazione della società e della scuola che era il suo ambiente di vita. Olga aveva assimilato in famiglia e condiviso con Gilberto, la fede patriottica. Nello stato liberale essere ebrei non contrastava con l’amore per la patria. Al contrario, Carlo Scott Blumenthal, fratello del nonno Mayer, aveva accompagnato Garibaldi lungo tutto il periodo risorgimentale; altri ebrei illustri parteciparono attivamente alla vita politica, come Luigi Luzzatti che arrivò nel 1911 a ricoprire la carica di Primo Ministro del Regno. Il regime fascista stava determinando che essere ebrei fosse d’impedimento alla realizzazione di una compiuta identità italiana. Nonostante le prese di posizione ideologiche del regime, Olga era sicura della propria identità, come lei stessa scriverà in un documento del 1942, in terza persona, per riavere la radio che le era stata sequestrata:

Dell’italianità dei sentimenti della sua Famiglia, e suoi, fanno fede e garanzia una documentazione ostensibile nonché le referenze, che sul conto di Lei possono fornire numerose famiglie veneziane […].

Ora che essere ebree poteva avere delle conseguenze nell’accettazione sociale e nel conservare la propria condizione lavorativa, si battezzò con il nome di Olga Maria nel 1929, lo stesso anno del Concordato con la Santa Sede. La scelta religiosa le avrebbe permesso di sentirsi  ancora patriota e italiana, avrebbe potuto mantenere la rete di amicizie e, diventando un’insegnante cattolica e perciò più gradita al regime, salvaguardare il suo rapporto con Ca’ Foscari.

Il suo incarico fu comunque messo in crisi. In cerca di alleanze vantaggiose con le università tedesche, nel 1937 Belli stesso, dopo averla riconfermata per tanti anni come valida assistente, chiese che fosse sostituita con un giovane professore proveniente da Monaco di Baviera. Olga lottò per il posto di lavoro con l’aiuto di Luzzatto. Forse non fu prodiga di saggi scritti, non si mise in luce con presenze pubbliche, ma certamente fu sempre determinata nel difendere la propria posizione di insegnante. Aveva  sessantaquattro anni ma ancora tante energie da spendere con i suoi studenti. Lo dichiarava Olga stessa ma lo racconta bene nel suo diario Titti Petracco, una matricola di quegli anni. Nonostante la benevolenza dei colleghi e le lettere che lei stessa scrisse al Rettore, ottenne solo qualche contratto mensile come assistente volontaria. Dopo qualche mese le leggi razziali misero fine a ogni possibile collaborazione.

Con la scheda che fu costretta a compilare, fu dichiarata ebrea, nonostante la sua religione. Era chiaro il criterio razziale e non religioso della schedatura. Dal momento in cui il suo nome fu iscritto nei registri degli ebrei, la documentazione su Olga Blumenthal aumentò: era una persona controllata dalla polizia fascista. Cominciò per lei, come per tutti gli ebrei italiani il periodo della ‘persecuzione dei diritti’. Perse l’insegnamento a Ca’ Foscari e anche al Circolo Filologico, dove aveva lavorato per più di trent’anni. Le porte dei luoghi di cultura si chiusero a una a una. Le restava un unico modo per pensare al proprio sostentamento: dare lezioni private.

La documentazione che produsse per riavere la radio che le era stata sequestrata ci permette di conoscere le persone con le quali ancora manteneva rapporti. Olga si appellò alle conoscenze eccellenti che, un tempo per censo familiare, poteva vantare. Emerge così uno spaccato di società dove predominava l’aristocrazia veneziana, ora collusa con il fascismo, e alcuni nomi illustri dell’alta borghesia e del mondo della cultura. In quella occasione intercedono per lei, non appellandosi ai diritti della sua persona, bensì a una generica pietà verso una “vecchia maestra di tedesco”, sminuendo la sua figura di docente della prestigiosa Università di Ca’ Foscari. Olga accompagnò le raccomandazioni con una accorata istanza affinché l’apparecchio le venisse restituito: “Considerato che, data l’età e la vita sola della sottoscritta, la Radio è l’unico suo svago e passatempo”.

Nonostante i pericoli, Olga scelse di rimanere in città, come l’amico Luzzatto che era stato a sua volta espulso da Ca’ Foscari perché ebreo. Ambedue erano anziani e non se la sentivano di affrontare l’ignoto. Scelsero di rimanere, mentre moltissimi ebrei veneziani si erano allontanati da Venezia e dall’Italia. Con l’occupazione tedesca e la complicità della Repubblica Sociale, è la vita stessa degli ebrei a essere in pericolo. Olga si trovò sola: anche Luzzatto decise lasciare Venezia, affrontando un viaggio lungo e pericoloso, si rifugiò a Roma. La fuga lo salvò dall’arresto e dalla deportazione. Olga invece rimase. Fece un tentativo di sottrarsi all’arresto, rifugiandosi per un periodo a Maniago in Friuli, tornò dopo aver compiuto settant’anni. Nel registro aggiornato degli ebrei, accanto al suo nome e alla sua ascendenza familiare, una nota a matita rossa, ‘ultra 70 anni’, l’avrebbe risparmiata dalla deportazione secondo le disposizioni della Direzione Generale Demografia e Razza: “Confermasi che gli ebrei puri tanto italiani che stranieri debbano essere inviati campi di concentramento, fatta eccezione per vecchi oltre 70 anni et malati gravi”.

Quando seppe che, nonostante le disposizioni del Ministero, il 7 agosto 1944, ventuno ultrasettantenni furono prelevati dalla Casa di ricovero del Ghetto e con loro il rabbino Ottolenghi, perse ogni speranza. Preparò la casa alla sua partenza. Dovette lasciare incustoditi i numerosissimi libri delle sue biblioteche che avrebbe voluto donare alla Querini Stampalia:

Mi rivolgo a Lei con la preghiera di voler esaudire un mio vivo desiderio approvando una mia idea. Da molti anni mi preoccupa il pensiero della sorte che toccherà ai miei libri dopo la mia morte.

Quando, ventun anni fa, ebbi la sventura di perdere Mio Marito, offersi di mia libera volontà a Ca’ Foscari circa 500 volumi, fra suoi e miei, ed altrettanti ne diedi al Circolo Filologico. Pensavo in tal modo, non solo di onorare la memoria di Lui, ma desideravo anche che quei libri potessero aiutare dei giovani nei loro studi. In tutti questi anni ho sempre cercato di arricchire la mia Biblioteca, ed il desiderio che i miei libri siano in avvenire dedicati alla gioventù studiosa, mi spinge a pregare […] di accettare la donazione che di essi avrei deciso fare alla Biblioteca Querini Stampalia.

La polizia tedesca arrestò Olga Blumenthal il 29 ottobre. Fu portata alle prigioni della Giudecca, poi alla Risiera di San Sabba e infine a Ravensbrük, da dove non fece più ritorno.

  

All’apertura dell’anno accademico 1945-46, l’amico Gino Luzzatto, divenuto Rettore di Ca’ Foscari, nominò la vecchia collega, l’unica che non era riuscita a tornare:

Soltanto ieri ci giunse la notizia della morte della sig.ra Olga Secrétant Blumenthal […] che colleghi e studenti hanno sempre ricordato e ricordano con profonda venerazione. Deportata nell’estate del 1944, nonostante la sua età di più che settant’anni e le tristi condizioni di salute, essa non resistette  ai disagi ed ai maltrattamenti, e morì, durante il viaggio, o subito dopo; nuovo e dolorosissimo documento di vergogna che ricade non su un uomo solo, ma su tutto l’esercito e su tutto il popolo germanico che eseguì supinamente gli ordini di un pazzo criminale, e cooperò freddamente, senza il minimo senso di pietà umana, alla distruzione metodica e totale di sei milioni di uomini inermi e inoffensivi, colpevoli soltanto di appartenere ad una razza diversa da quella del popolo eletto.

Oggi sappiamo che la morte di Olga, come quella di tutti gli altri ebrei italiani o stranieri che si erano rifugiati in Italia, non ricade esclusivamente sugli alti comandi dell’esercito tedesco, ma fu preparata dalle leggi razziali del governo italiano e attuata grazie alla solerte collaborazione della polizia fascista italiana.

Dopo l’accorata prolusione del Rettore del 1945, l’esistenza di Olga Blumenthal cadde nell’oblio, anche se l’Università conserva ben due fondi librari a suo nome. Fu grazie agli approfondimenti sulla documentazione della Mostra organizzata dalla facoltà di Storia nel 2018, Ca’ Foscari allo specchio. A 80 dalle leggi razziali, che si tornò a parlare di lei.

Ricostruire la storia della sua vita non è stato semplice perché ottant’anni di silenzio e oblio avevano disperso molte tracce. Cercarle, recuperarle e tentare di restituire a Olga una dimensione pubblica, mettendone in luce la personalità, è stato l’obiettivo della mia ricerca per ricostruire la sua biografia. La difficoltà maggiore è stata la mancanza di memoria su di lei. Le biografie del Novecento nascono spesso dall’intreccio tra storia e memoria. Le testimonianze di chi ha conosciuto, ha visto, ha partecipato, sapeva, sono determinanti, accanto alla documentazione per la realtà storica. Simon Levis Sullam, nell’introduzione a L’opera di Saul Friedländer tra storia e memoria, scrive:

Friedländer stesso ha notato la natura di ‘flash luminosi’ delle testimonianze, che illuminano il paesaggio storico: esse «confermano intuizioni; ci mettono in guardia dalla facilità di vaghe generalizzazioni. A volte non fanno che ripetere il già noto con una forza impareggiabile».

Nella storia di Olga mancavano i ‘flash luminosi’. Nessun vivente la ricordava. Nessuno l’aveva cercata dopo la guerra. Ultima capostipite italiana di una importante famiglia in diaspora, visse a lungo in solitudine. Di lei, ed è l’unica testimonianza, scrisse brevemente Titti Petracco, che oggi non c’è più, e il suo ‘flash’, ormai senza luce, ha confermato la mia intuizione che Olga fu anche una docente ‘buona’, vicina agli studenti e generosa.

Per approfondimenti e per le fonti citate, si rinvia al volume: Emilia Peatini, Olga Blumenthal. Storie di una famiglia e di una vita, Verona, Cierre, 2022.


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