Migliora la situazione nei Cpr e nelle carceri, il dossier del Garante

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È lievemente diminuito il numero delle persone presenti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) rispetto all’ultimo il punto del 7 novembre scorso: alle 430 presenze di allora corrispondono le 354 di oggi (sempre su un totale di 598 posti). Si accentua la sistematicità dei voli charter di rimpatrio verso la Tunisia: dagli usuali due voli settimanali, si è passati ai tre della settimana scorsa e ai quattro della presente. Il totale è di 33 voli dal 16 luglio a oggi, che hanno portato a un ritorno forzato di circa 1300 cittadini tunisini (mediamente 80 a settimana). La discussione parlamentare relativa alle modifiche del passato decreto cosiddetto “sicurezza” procede nell’ambito della Prima Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati. Uno dei punti previsti nel nuovo decreto è la riduzione della permanenza massima di trattenimento all’interno di tali Centri, che viene determinata, nelle situazioni che non richiedono ulteriori accertamenti, a 90 giorni. Sono pur sempre tre mesi da trascorrere in un “nonluogo” che riflette, anche nel suo complessivo disegno, il vuoto di quelle presenze indefinite nella loro transitorietà e nell’impossibilità di delineare un futuro. Luoghi non pensati se non come contenitori, il cui unico parametro di riferimento è dato dalla garanzia del poter essere in essi trattenuto, di non poter venirne fuori senza alcuna riflessione su una possibile significatività del tempo che tale trattenimento racchiude. Il dibattito sugli spazi della detenzione penale, quantunque di scarso risultato data la amorfìa dei più recenti Istituti o delle recentissime aggiunte che sono state fatte ad alcuni di essi, ha comunque trovato frequentemente dei momenti di discussione, degli studi, delle pubblicazioni. Ciò non è mai avvenuto per lo spazio della detenzione amministrativa che in tali Centri si realizza. Questa non attenzione alla caratterizzazione di questi spazi non è soltanto una disattenzione: è espressione di un non riconoscimento di tutto ciò che in essi può avvenire in modo esperienziale, ma soltanto di ciò che essi rappresentano in modo estraniante. Il Garante nazionale intende sviluppare momenti di ricerca e di riflessione sul disegno di tali luoghi, coinvolgendo coloro che progettano spazi per le diverse complessità sociali. Una riflessione che non costituisca una implicita riaffermazione della loro esistenza, ma che si faccia carico delle necessità che chi progetta sappia riconoscere.

Persone detenute

Si riducono, seppur lentamente, i numeri delle persone detenute in carcere: 54.767 quelle registrate ma   53.992 quelle fisicamente presenti. L’accentuata differenza tra registrati e presenti è dovuta in larga parte al numero di licenze e permessi che il decreto-legge 137/2020 ha prorogato fino alla fine dell’anno.

Molto allarme circola in rete ed è ripreso anche dai media rispetto ai numeri del contagio in carcere. La preoccupazione non è senza motivo; tuttavia, il Garante nazionale tiene a puntualizzare alcuni aspetti del problema. Il primo riguarda il dover tenere sotto controllo i numeri che evidenziano sempre più la indifferibile necessità di prevedere una riduzione di presenze ben più consistente di quella stentata sopra riportata. Ciò al fine di disporre di spazi adeguati per tutti gli isolamenti necessari e per fare fronte a malaugurati scenari futuri. Il secondo riguarda però l’altrettanto rilevante necessità di non aggiungere ansia a situazioni di per sé ansiogene, proprio a causa del loro configurarsi come luoghi che ovviamente non consentono la libera determinazione dell’individuo. Per questo i numeri vanno riportati senza enfasi allarmistica e devono essere analizzati considerando la loro distribuzione, individuando possibili focolai su cui intervenire e valutando l’incidenza di situazioni sintomatiche all’interno del loro complessivo valore, considerando che l’accertamento in entrata del possibile contagio di persone appena detenute e provenienti dal contesto esterno incide sui numeri complessivi delle persone contagiate, ma, dato il loro isolamento, non incide sulla diffusione del contagio nell’Istituto. Ciò a patto – e qui va posto un rigoroso controllo – che l’isolamento e le misure preventive inziali siano effettive rispetto al contatto con altre persone detenute e con il personale. In pochi giorni dei 190 Istituti il contagio ne ha toccati 75. Quelli con un numero di casi a due cifre sono undici, a cui si aggiungono i due hub milanesi, che costituiscono luogo di accoglienza e presa in carico anche di persone che provengono da Istituti limitrofi. Sono 32 le persone detenute ospedalizzate e più di 600 quelle risultate positive a seguito di screening diffusi. Rispetto al numero di tamponi effettuati in questa nuova tornata di epidemia, il tasso di positività in carcere è alto (più del 15 percento), ma comunque in linea con quello del territorio nazionale. Accanto a questi numeri, quello di più di 800 persone dell’Amministrazione penitenziaria che operano con diverse funzioni nel mondo della detenzione penale. Proprio per questo il Dipartimento ha emanato una circolare, che ha trovato il parere favorevole e il supporto del Comitato tecnico scientifico istituito presso la Protezione civile, per definire «luoghi adeguati all’assegnazione delle tre tipologie di soggetti che devono necessariamente essere separate tra loro e dalla rimanente comunità penitenziaria». Essi sono: coloro che sono in isolamento precauzionale perché provenienti dall’esterno, coloro che sono in isolamento perché venuti a contatto con persone positive al virus, coloro che sono risultati positivi al virus, diversificando «ove possibile» gli asintomatici dai sintomatici. La necessità di spazi e, quindi, della riduzione dei numeri complessivi emerge chiaramente anche da queste indicazioni. La circolare individua, inoltre, due soglie di possibile estensione del contagio (al 2 percento delle persone complessivamente presenti in Istituto – perché vi operano o perché vi sono detenute – e al 5 percento) per ciascuna delle quali sono previste misure di specifica cautela rispetto all’igiene dei luoghi e alle attività che possono richiedere maggiore contatto tra le persone. Deve restare fermo il principio che quella capacità, da più parti affermata, di convivere in modo consapevole con il rischio di contagio senza determinare automaticamente l’impossibilità di condurre una vita il possibile simile all’ordinarietà, deve riguardare tutte le realtà in cui la complessità sociale si esplicita, incluse quelle dove maggiore deve essere lo sforzo perché tale diversa normalità sia in grado di conciliare tutela della salute individuale, garanzia di non diffusione del contagio e tutela dei diritti fondamentali della persona.

Nell’ottica dell’adozione di interventi che siano in grado di incidere concretamente sulla realtà numerica del carcere e non soltanto di introdurre norme enunciative che poi ottengono scarsa possibilità applicativa, il Garante nazionale, che comunque aveva espresso apprezzamento per l’inserimento di alcune misure deflattive nel decreto cosiddetto “ristori”, ha presentato alcuni emendamenti al decreto stesso, perché siano considerati nella procedura di conversione in legge. Questi, da un lato, incidono su quanto il decreto affronta per intervenire, in questa fase emergenziale, sulla situazione presente in carcere, dall’altro aggiungono altri strumenti d’azione. In particolare, l’estensione della misura della liberazione anticipata in relazione al periodo connesso alla diffusione pandemica e, sempre per lo stesso periodo, il rinvio dell’emissione dell’ordine di esecuzione, relativamente a fasce contenute di pene o di residui di pene da scontare, per persone che, provenienti dalla libertà, dovrebbero entrare in carcere appunto per la loro esecuzione. Gli emendamenti presentati sono consultabili sul sito del Garante nazionale all’indirizzo:

https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/dettaglio_contenuto.page?contentId=CNG9739&modelId=10021

Accanto all’adozione di provvedimenti legislativi va comunque sviluppata l’attenzione alla possibilità che eventuali benefici possano concretamente riguardare quella larga porzione di minorità sociale che oggi è ampiamente presente in carcere. I numeri anche in questo caso aiutano. Coloro che possono usufruire della detenzione domiciliare per un residuo di pena inferiore a sei mesi e che non hanno una preclusione ostativa sono 1142, mentre coloro che sono nella stessa posizione ma con un residuo di pena compreso tra i sei mesi e i diciotto mesi sono 2217. Quindi, un insieme complessivo di 3359 persone, però meramente teorico, perché la norma prevede anche preclusioni di tipo disciplinare; ma soprattutto perché 1157 tra esse sono senza fissa dimora. Qui si apre il tema del ruolo che i territori devono avere se non si vuole che l’esito di tali provvedimenti accentui la divaricazione tra soggetti deboli e soggetti forti anche in questo grave momento. Positivamente, con suoi progetti, di cui il punto ha già parlato, è intervenuta la Cassa delle Ammende; eppure diverse organizzazioni di tipo comunitario e assistenziale hanno informato il Garante del fatto che non vengono inviate persone ai domicili predisposti per l’accoglienza, nonostante vi sia la manifesta disponibilità di posti. È evidente che la catena di decisione che muove dall’Istituto alla Magistratura di sorveglianza fino all’assegnazione a tali luoghi di accoglienza si inceppa, molto spesso, per mancanza di risorse soprattutto in termini di personale, e determina, quindi, l’impossibilità di completare tali percorsi. Se, da un lato, il Garante nazionale ha apprezzato il sollecito inviato dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ai Provveditori affinché sollecitino gli Istituti circa l’invio di casi per i quali vi è possibilità di accoglienza, dall’altro chiede che si preveda un supporto estemporaneo di personale agli Uffici della Magistratura di sorveglianza, per questo specifico periodo, anche ricorrendo a protocolli con le Università che possano fornire l’aiuto di giovani giuristi.

Nel contesto complessivo, il Garante nazionale ringrazia il Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità per lo sforzo cooperativo costituito anche dalla informazione quotidiana resa non solo circa le presente  e gli eventuali momenti di criticità negli Istituti – così come del resto fa anche il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – ma anche riguardo al quadro della situazione in tutte quelle diverse comunità che costituiscono l’ampia azione del Dipartimento nei confronti dei minori autori di reato.


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