“Cari colleghi del Messaggero la vostra è la battaglia di tutti”

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Cari colleghi del Messaggero, non sentitevi soli. La vostra è la giusta battaglia di tutti. La battaglia di chi si vede ridurre sempre più all’osso ciò che gli dovrebbe essere garantito per Costituzione. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, lavoro che dia dignità al lavoratore, non che lo mortifichi dove fa più male. La vostra è la battaglia di tutti quelli che fanno salti mortali carpiati per arrivare alla fine del mese, la battaglia di chi si trova costretto a scegliere dolorosamente tra lavoro e vita privata, di chi si vede mortificato nonostante per anni interi non molli mai quell’osso che tanto appassiona perché questo lavoro lo si fa per scelta, per cuore, per dovere, per informare. Non si molla nella speranza che domani qualcosa migliori, non si molla nonostante ci si senta a volte ripetere “che la gavetta dura anni”, eppure è folle pensare che una gavetta duri dieci, venti, a volte trent’anni anche. Quando un giovane molla perché non c’è alcuno sbocco qui, porta la sua professionalità, la sua forza lavoro, da un’altra parte, in un altro Paese. Un Paese senza lavoro e senza ricambio generazionale che Paese è? Che futuro puó avere? E allora vanno assolutamente informati i cittadini anche del fatto che chi informa loro (il sapere è potere, fondamentale salvaguardarlo), è sottopagato al punto che alle volte un aperitivo vale di più di ore spese per un’intervista o un reportage. Un lavoro che non è solo intellettuale, ma anche fisico, di resistenza, di gestione dello stress per portare a casa il risultato. Con qualunque meteo, con enormi difficoltà per l’accesso ai luoghi anche quelli che sembrano più banali, dovendo battagliare anche per un’intervista o una foto. Tra i collaboratori e lavoratori autonomi due parole anche per i giornalisti per immagini. I prodotti del nostro lavoro (commissionati o no, e quando no le notizie le cerchiamo girando in lungo e in largo), che vedete, sono solo la punta dell’iceberg. Dietro ci sono ore spese per imparare, migliorare, manutenere attrezzature costose, aggiornarci con gli ultimi programmi, ore di attesa, per rendere alla società il migliore dei prodotti possibili. Documentarvi su ció che accade. Quando vedete una foto, un video, ci sono dietro ore di sudore e fatica che spesso si sottovalutano. Tutto questo non puó e non deve essere pagato 5,6,7,10 euro. Affermare che il nostro lavoro vale una cifra così mortificante equivale a dire che anche l’informazione di cui vi nutrite voi vale tanto. Perché i collaboratori sono anche una forza fondamentale per testate e giornali. Questa non è una battaglia dei giornalisti, è una battaglia di tutta una società che si possa definire “civile”. Perció, no, colleghi del Messaggero non sentitevi soli. Siamo al vostro fianco.


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