25 aprile. Udo Sürer e la storia de “Il nome del padre” dedicato alle vittime delle stragi naziste in Italia di San Terenzo Monti e Vinca

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Udo Sürer è un avvocato residente a Lindau, nel distretto della Bassa Baviera in Germania, e qui svolge la sua professione seguendo le pratiche per ottenere il diritto d’asilo ai rifugiati politici stranieri che hanno dovuto lasciare la loro patria. È sposato in seconde nozze con una donna d’origine curda dalla quale ha ottenuto  la volontà di assumerne il suo cognome. Un’obiezione di coscienza e una scelta etica morale importante, dettata dal senso di giustizia riparatoria, nei confronti delle vittime di alcune delle stragi naziste più sanguinose avvenute in Italia. Nel 2002 Udo Sürer inizia ad avere dei sospetti sulla vita del padre, Josef Maier, scoprendo nel 2004 una drammatica e dolorosa realtà: il genitore durante la seconda guerra mondiale si era reso responsabile, insieme ad altri commilitoni, delle stragi naziste compiute a San Terenzo Monti e Vinca (due frazioni del Comune di Fivizzano in provincia di Massa – Carrara). Maier era stato arruolato nelle Waffen -SS del sedicesimo plotone della Divisione Reichsführer, meglio conosciuto come il famigerato “battaglione della morte”, il cui comandante Walter Reder è l’ufficiale nazista condannato all’ergastolo per crimini di guerra, e poi graziato dall’Italia, mai pentito.  L’ autore delle stragi di Marzabotto e Vinca. La verità storica, accertata da numerose prove documentate, conduce l’ avvocato Sürer a interrogarsi sul male che il padre aveva commesso sul suolo italiano.

Nell’estate del 1944 il sedicesimo battaglione Panzergranadieren delle SS operante nella zona della Lunigiana (un territorio situato tra la Toscana e la Liguria), trucidò oltre 400 civili, senza risparmiare le donne e i bambini. Il 24 agosto Walter Reder, accompagnato da soldati italiani della Repubblica Sociale di Mussolini, rimasti fedeli all’esercito di occupazione tedesco, il quale si rese responsabile di una delle stragi più sanguinose della Toscana: solo nella frazione di Vinca furono sterminati 170 civili, quasi tutti anziani, donne e i loro bambini. Dal 2004 in poi la vita di Udo Sürer cambia radicalmente per seguire le tracce dei crimini commessi dal padre che ripudia e ottiene di cambiare il cognome.

Iniziano i suoi viaggi in Italia: un “pellegrinaggio memoriale”, definito così da Paola Settimini, Daniele Ceccarini e Mario Molinari di La Spezia, autori del docufilm “Il nome del padre” (vincitore di numerosi premi, tra i quali il “Paolo Gobetti” al Festival di Torino Filmare la Storia 2019) presentato per la prima volta il 4 maggio del 2018 a Fivizzano (in provincia di Massa – Carrara) alla presenza del protagonista che viene intervistato insieme ad altri testimoni, sopravvissuti alle stragi e parenti delle vittime: «per cercare di fare qualcosa come ci spiegò Sürer, quando lo abbiamo intervistato. Per lui significava intraprendere un percorso di riconciliazione e ricucire le ferite di una memoria storica che ha continuato a gettare ombre sul presente.

 

Il nome del padre

Da allora ha visitato Marzabotto, Guardistallo, Sant’Anna di Stazzema, San Terenzo Monti, Valla, Bardine e Vinca di Fivizzano – spiegano gli autori del documentario- film – raccogliendo le testimonianze dei parenti di chi era stato assassinato in modo spietato dai nazisti. Udo Sürer si è impegnato con grande determinazione nel rintracciare superstiti e famigliari delle vittime delle stragi nazifasciste in Lunigiana ma anche in altre parti della Toscana e dell’Emilia, martiri nelle località dove erano stati commessi eccidi dalle truppe naziste. Per intessere con loro un dialogo ispirato a profondi sentimenti di pace e di amicizia volti alla conoscenza della verità dei fatti tristemente accaduti. Nel 1992 il padre Josef Maier muore e Udo e la sua famiglia (madre, sorella e fratello), incontrano “l’altra famiglia”, ovvero i 5 figli che il padre ebbe dalla prima moglie».

Raggiunto al telefono in Germania, Udo Sürer ci rilascia un’intervista in occasione del 25 aprile anniversario della liberazione d’Italia e festa nazionale. Conosciuto di persona nell’estate del 2018 a Borgo Val di Taro (chiamato anche Borgotaro, comune della provincia di Parma), dove era stato invitato insieme agli autori del docufilm, risponde alle domande che li poniamo con estrema disponibilità, dimostrando di essere una persona umile e generosa d’animo nel raccontare la sua esperienza così significativa dove la parole resilienza trova il suo vero e profondo significato.

 

«Il mio primo incontro con uno dei sopravvissuti alla strage di San Terenzo Monti è stato con Romolo Guelfi nel 2004 quando l’ho incontrato a Vinca e mi sono emozionato quando mi ha detto “è bene che siate venuti”. L’accoglienza ricevuta mi ha commosso e ci siamo abbracciati. Un altro dei testimoni delle stragi che ho potuto conoscere è stato Celso Battaglia e anche con lui ho stretto da subito una profonda amicizia. Li ricordo con grande stima e affetto e la loro scomparsa avvenuta pochi anni fa mi ha addolorato».

 

Udo Sürer e Celso Battaglia sopravvissuto alla strage di San Terenzo Monti

 

Da quando viene in Italia per incontrare i parenti delle vittime?

«Vengo in Italia praticamente ogni anno dal 2004 e ogni volta cerco di parlare con chi ha sofferto, conoscere le loro storie e ricordare i loro cari. Nel mese di settembre del 2004 sono stato anche a Marzabotto per la prima volta e nel 2005 a Sant’Anna di Stazzema. Ho visitato i luoghi delle stragi anche a Guardistallo e in altri paesi segnati dalle orribili stragi di così tanti innocenti».

Udo Sürer parla perfettamente l’italiano e si sente anche cittadino del nostro Paese per il legame che si è venuto ad instaurare con la popolazione locale e con tanti amministratori comunali. Lei è anche stato insignito della cittadinanza onoraria. Di quale Comune?

«Il sindaco Paolo Grassi (scomparso di recente, ndr) mi ha concesso la cittadinanza di Fivizzano nel 2015 e per questo sono riconoscente a vita del privilegio ottenuto».

La motivazione recita: «Per il suo coraggio e per il gesto straordinario di ricerca di pace e di verità, per la coerenza e la fedeltà alle sue scelte; per la determinata e paziente ricostruzione del suo passato e per l’opera di divulgazione e di conoscenza nella sua patria dei tragici fatti storici subiti dai nostri concittadini nel 1944. Per l’amicizia sincera e disinteressata che ha dimostrato con le persone emblematiche del glorioso periodo della resistenza instancabile costruttore di pace tra i popoli e di ponti di amicizia, sentimenti condivisi tra Fivizzano, comune martire e la zona del lago di Costanza, viene ad indicarci un sentiero da percorrere assieme, fatto di conoscenza e di fratellanza».

In occasione del conferimento Udo Sürer si è anche esibito come musicista suonando il sax tenore sulle note di “Bella Ciao” dimostrando come la musica sia capace di accomunare sentimenti di fratellanza e coesione.

 

Lei svolge la professione di avvocato in Germania e tutela i diritti di molti profughi costretti a fuggire dai loro paesi

«Seguo attentamente le vicende dei profughi anche quelli che arrivano in Italia e ho molti clienti tra di loro. Sono vicino alla pensione e mi preoccupa anche molto la situazione attuale con la pandemia del Covid-19. Provo molta vergogna per la mia nazione che non si dimostra solidale e aiuta economicamente altri paesi in difficoltà per l’emergenza corona virus. Dovremmo essere tutti uniti in questo momento. Anche da noi in Germania, in forme e contenuti diversi dall’Italia, ci dimostriamo comunque divisi. Sono rimasto molto sorpreso per come l’estrema destra dei partiti germanici ora dimostrino di essere difensori della libertà protestando contro le restrizioni imposte».

La testimonianza della solidarietà dimostrata in tutti questi anni è la prova di come Udo Sürer abbia voluto dare un senso alla sua vita a differenza di tanti altri italiani inclini a non far conoscere la tragedia di queste stragi nei confronti della popolazione civile. Innocente e barbaramente trucidati. Sarà la magistratura militare a fare poi luce sulle tante responsabilità attribuite ai nazisti con la complicità di collaborazionisti italiani e militari della Repubblica Sociale (chiamata anche Repubblica di Salò e costituita nel 1943) che indossarono la divisa delle SS per non farsi riconoscere dai civili. Il negazionismo subito dopo le stragi fu l’aggravante imputabile a chi aveva incarichi pubblici e di governo.

Il maggiore Stellacci, pubblico ministero nel processo contro Walter Reder: «Il soldato si distingue dagli assassini perché ha il senso del limite della propria azione, perché è cavaliere. La verità è questa: Reder, come altri suoi simili, appartiene a una casta militare senza scrupoli e senza morale (…) Il fatto che il nazismo abbia perduto la guerra è semplicemente l’occasione che ci permette di giudicare Reder e che ci offre per punirlo. E sarà condannato non perché è un vinto ma perché è un delinquente, perché egli ha condotto la guerra con metodi e spirito da delinquente, con la certezza di non dover mai rendere conto a nessuno delle sue colpe

 

La testimonianza di Andrea Quartieri sopravissuto alla strage di Vinca: «I soldati tedeschi hanno lanciato per aria una bambina di due mesi e le hanno sparato. Una donna incinta all’ottavo mese le hanno squartato il ventre e strappato il suo bambino messo tra le sue braccia. Lo avranno fatto da viva o da morta? Sono cose immaginabili eppure sono accadute. Questa è la verità!

 

 

Il video completo del docufilm IL NOME DEL PADRE

https://www.youtube.com/watch?v=BW3Elir0tlk

 

http://www.storiaxxisecolo.it/dossier/Dossier1b2.htm


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