Somalia: a rischio la libertà di stampa in vista delle elezioni

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Da qualche mese la Somalia è entrata nell’ultimo anno del mandato quadriennale del Presidente della Repubblica Federale Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, il quale ha già detto che intende candidarsi per un secondo incarico.

Farmajo ha dichiarato che le elezioni generali avverranno a suffragio universale e non più, come per il passato, attraverso la designazione da parte dei saggi delle varie componenti etniche della Somalia, ma ancora non ha spiegato come dovrebbe attuarsi questa riforma, dato che sembrano mancarne tutti i presupposti sia di sicurezza e controllo del territorio che un’anagrafe utile ad individuare il corpo elettorale.

Ad oggi, tuttavia, questo sembra un dettaglio che sarà svelato in un prossimo futuro.

In verità, l’elezione a Presidente di Farmajo – beneamato dal popolo dopo una sua prima esperienza come Primo Ministro tra il 2010 e il 2011 – era stata salutata nel 2017 con grande entusiasmo, ma il suo mandato non ha raggiunto i risultati che si aspettavano. Un’insufficienza di successi che, secondo i sostenitori, non manifesta affatto l’incapacità di Farmajo di governare quanto, piuttosto, l’eccezionale difficoltà di risalire dall’abisso in cui la Somalia è sprofondata quando, nel gennaio 1991, scoppiò la guerra civile. Per i detrattori, invece, la presidenza è stata afflitta da troppi nepotismi coniugali, troppi cedimenti rispetto alla meritocrazia per favorire ora questo ora quello permettendo il formarsi di una corte a Villa Somalia più interessata a conquistare spazi di potere che ad amministrare nell’interesse nel popolo.

In un paese di appena 15,4 milioni di abitanti sparsi su un territorio grande quasi 638.000 km², cioè più del doppio dell’Italia, l’economia si regge grazie ai 410 milioni di dollari di investimenti stranieri. Durante la presidenza di Farmajo il PIL è cresciuto da 1,3 punti, pari a 4,5 miliardi di dollari del 2017, a quasi 3 punti con circa 5 miliardi di dollari del 2019. E le previsioni per il corrente 2020 – ma prima della pandemia del Covid 19 – erano in crescita a 3,2 punti con 5,210 miliardi di dollari. Molto apprezzato è stato l’Accordo del Corno d’Africa con Abiy Ahmed Ali e Isaias Afewerki. Inoltre proprio in questi giorni il Fondo Monetario Internazionale ha approvato un accordo che potrebbe consentire alla Somalia di estinguere alcuni dei suoi debiti permettendo l’incremento degli investimenti stranieri.

Se i migliori successi sono stati ottenuti da Farmajo sul piano internazionale, i problemi maggiori si sono presentati all’interno dove, da una parte, la siccità ha colpito e continua a colpire più di 2 milioni di abitanti, dall’altra parte, l’invasione delle locuste ha fatto scempio di immensi territori alberati e, dall’altra parte ancora, il potere centrale non riesce a governare l’intero territorio somalo perché la zona centro meridionale rimane sotto il piede degli Al Shabab, l’organizzazione islamista rimasta fedele ad Al Qaeda, mentre al nord si è manifestata la presenza di milizie aderenti all’ISIS.

Ai problemi umanitari e di sicurezza si sono poi aggiunti quelli dei rapporti con i governatori degli Stati federati nella Somalia. Rapporti a volte difficilissimi come quelli che attualmente vedono contrapposto Farmajo a Ahmed Mohamed Islam, detto Madobe, fattosi eleggere per la terza volta a capo dello Stato meridionale del Jubaland in violazione dello Statuto ma con il sostegno del confinante Kenya: una contrapposizione che ha portato Farmajo ad inviare 700 militari nazionali per contrastare l’elezione di Madobe, da lui definita una farsa, col rischio di riaccendere una nuova guerra civile e un conflitto col Kenya facendo infuriare la comunità internazionale.

Ma non è questo il solo segnale di grande nervosismo ai vertici della politica somala di fronte all’avvicinarsi delle elezioni nazionali.

Si è infatti incrementata l’insofferenza per la libertà di espressione con l’arresto di diversi giornalisti colpevoli di aver criticato il governo.

Mohamed Abdiwahab Abuja, giornalista di Radio Higsi, è detenuto dal 27.02.2020 per asserita connivenza con Al Shabab, senza il diritto di comunicare con la famiglia o gli avvocati.

L’editore del gruppo multimediale Goobjoog, Abdiaziz Ahmed Gurbiye, ha passato tre giorni nella prigione centrale di Mogadiscio per gli articoli che criticavano il modo in cui il governo stava gestendo l’epidemia di Covid-19 su cui tra breve si dirà.

Secondo somalidispatch.com, Muse Moalim, Presidente del Tribunale regionale di Benadir, la Regione in cui è sita la capitale Mogadiscio, è stato sollevato dalle sue funzioni proprio per aver disposto il rilascio su cauzione del giornalista Abdiaziz Gurbiye contro la volontà del governo.

Un altro caso è quello del giornalista di Voice Of America Mukhtar Mohamed Atosh, arrestato a Baidoa per aver diffuso la notizia secondo cui soldati dell’esercito nazionale avevano teso un’imboscata ad un pullman lungo la strada tra Mogadiscio e Baidoa prelevando due donne e stuprandole. Una delle due, una studentessa di 14 anni, è morta e l’autopsia ha stabilito che è rimasta vittima dello stupro e delle torture subite. L’accusa contro il giornalista da parte dei poliziotti di Baidoa è quella di “aver riferito al pubblico l’incidente mortale senza l’autorizzazione dello Stato”.

Un quarto caso è quello dell’altro giornalista di VOA, Harun Maruf, minacciato di denuncia per reati contro la sicurezza nazionale dall’account Tweetter del NISA, l’agenzia di spionaggio somala, perché asseritamente legato agli Al Shabab. Harun Maruf aveva di recente pubblicato un libro approfondito dal titolo “Inside Al Shabab”. In suo favore è sceso perfino l’Ambasciatore USA a Mogadiscio Donald Yukio Yamamoto il quale, definendo Harun Maruf come uno dei più influenti giornalisti somali, ha aggiunto che “le intimidazioni del NISA minano la libertà di stampa e i media indipendenti che costituiscono il fondamento della governance democratica responsabile in Somalia”.

In questa delicata situazione per la libertà di stampa in Somalia è intervenuto anche Nicolas Berlanga Martinez, ambasciatore dell’UE per la Somalia, il quale, subito dopo aver incontrato il Primo Ministro Hassan Khaire, ha diffuso in un tweet il messaggio che l’UE ha indirizzato alle autorità somale: “Le critiche fanno parte del processo democratico. La limitazione della libertà di espressione non può diventare un’altra pandemia. Se i giornalisti diffondono informazioni non gradite o forti, la prigione o la detenzione non sono un’opzione”.

I richiami degli Ambasciatori di USA e UE non sembrano però intimidire il Primo Ministro Hassan Khaire.

Mentre Farmajo, temendo la grave pandemia, ha alleggerito le carceri concedendo la grazia a 148 detenuti, la polizia politica ha arrestato il 6 aprile scorso due dirigenti del Ministero della sanità. I due sono già stati portati per ben tre volte dinanzi al Giudice per l’incolpazione che però il Pubblico Ministero non riesce ancora a concretizzare chiedendo continui rinvii. Ieri è stato disposto un ulteriore rinvio al 30 aprile. La vicenda sembra collegata alle contestazioni che la Ministra della salute Fawzia Abikar ha mosso alla società turca Yardimeli che gestisce l’omonimo ospedale a Mogadiscio. Era questo un altro argomento che aveva trattato il giornalista di Goobjoog, Abdiaziz Ahmed Gurbiye finendo perciò nel mirino del governo. Secondo il Ministero della sanità l’attività di Yardimeli costituisce una violazione di legge riservandosi di intraprendere le opportune azioni legali per impedire che l’assistenza umanitaria e l’aiuto della fratellanza turca permettano il perseguimento di interessi personali.

Mancano appena otto mesi alle elezioni e mentre si cercano le migliori postazioni per la battaglia politica, si mettono i bavagli alle voci contrarie. Non è affatto la migliore premessa per una sana democrazia alla quale non basta promettere il suffragio universale se non si consente anche la più ampia formazione delle opinioni da parte degli elettori.

Fonte: Blog Repubblica


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