Le altre vittime del coronavirus: informazione e diritti sui dati

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Arresti arbitrari, sorveglianza, controlli telefonici e infrazioni della privacy aumentano con l’imposizione di leggi di emergenza da parte di paesi dell’Europa centrale e sud-orientale per far fronte al Covid-19

30/03/2020 –  Balkan Insight*

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight  il 24 marzo 2020)

*Marija Ristić, Milica Stojanović, Miroslava German Sirotnikova, Akos Keller-Alant, Hamdi Firat Buyuk, Anja Vladisavljević, Marcel Gascón Barberá, Madalin Necsutu e Bojan Stojkovski

 

Da storie su come l’acqua salata possa impedire al coronavirus di diffondersi nei polmoni ad indicazioni  false, medicine miracolose e cosiddetti vaccini già pronti: gli abitanti dell’Europa centrale e dei Balcani sono bombardati da centinaia di fake news e messaggi propaganda che giungono tramite media tradizionali, tabloid, portali online, social media e app di messaggistica come Whatsapp e Viber.

Agevolati da un ambiente mediatico poco regolato e bassi livelli di alfabetizzazione mediatica, i creatori di fake news stanno diffondendo il panico condividendo informazioni non verificate. Una colpa da attribuire anche ai media, ai funzionari pubblici e persino ai primi ministri.

Il Primo Ministro albanese Edi Rama, grande critico di media che ritiene poco simpatizzanti nei suoi confronti e avvocato di politiche mediatiche draconiane, lo scorso fine settimana [quello del 21-22 marzo, ndr] ha condiviso un video che a sua detta mostrava la polizia spagnola che allontanava manifestanti delle strade per costringere il rispetto del coprifuoco.

Rama si è poi scusato dopo che è stato dimostrato che il video era stato girato in Algeria. Ha dato la colpa ad un cittadino albanese ignoto che gliel’ha inoltrato dall’Italia.

Nelle semi-democrazie della regione, con il passaggio delle vite collettive dalla sfera pubblica a quella digitale, molte libertà sono state sospese e la responsabilità per le violazioni è stata addossata ai cittadini man mano che i governi imponevano misure sempre più restrittive, che in molti casi violavano gli standard previsti dai diritti umani.

Solo nelle ultime settimane 80 persone sono state arrestate, alcune di loro incarcerate, per aver diffuso fake news e disinformazione, i casi più draconiani sono avvenuti in Turchia, Serbia, Ungheria e Montenegro.

Montenegro e Moldavia hanno diffuso i dati personali sulla salute degli individui infettati dal COVID-19, mentre i siti web ufficiali ed i sistemi informatici ospedalieri sono stati vittima di cyber attacchi in Croazia e Romania. Alcuni paesi come per esempio la Slovacchia stanno considerando di sospendere alcuni diritti assicurati dal GDPR, mentre la Serbia ha imposto sorveglianza e tracciamenti telefonici per limitare la libertà di movimento.

In risposta alla pandemia di COVID-19, alcuni governi stanno aumentando la sorveglianza, incrementando la censura e restringendo la libera circolazione delle informazioni, come ha ha fatto notare Allie Funk, ricercatrice del gruppo Freedom on the Net, una branca di Freedom House addetto al monitoraggio della libertà online.

“È allarmante vedere come alcune autorità stiano sfruttando questa crisi per trarne dei profitti politici” ha dichiarato Allie Funk a BIRN.

La Cina ha utilizzato il proprio sofisticato apparato di censura per zittire le fonti di informazione indipendenti provenienti da attivisti, giornalisti e comuni cittadini del web. Le autorità in Thailandia, Cina e Turchia sono arrivate ad arrestare e tenere in detenzione chi usava internet per postare sui propri social media.

Pubblicare i dati sulla salute 

Nonostante la popolazione del Montenegro sia di appena 640.000 abitanti, il governo ha preso la decisione drastica di pubblicare una lista di cittadini che avrebbero dovuto adottare misure di auto-isolamento, giustificandosi dicendo che alcuni non stavano rispettando i loro obblighi. Il governo ha detto di aver ricevuto l’approvazione dall’Agenzia nazionale per la protezione dei dati personali.

“Gli organi di sicurezza non possono controllare ogni cittadino che dovrebbe essere in auto-isolamento – ha dichiarato il governo – dal momento che chiunque violi l’auto-isolamento mette in pericolo l’intera comunità, abbiamo deciso di pubblicare i loro nomi.”

Il partito di opposizione e le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno reagito in modo molto critico.

“Questa lista sembra un incitamento al linciaggio”, ha dichiarato Tea Gorjanić Prelević di Azione per i diritti umani. “Ci aspettiamo che venga dimostrata una base legale che giustifichi la limitazione del diritto alla privacy, garantito dalla costituzione. Altrimenti, è illegale.”

Il Primo ministro Dušan Marković ha dichiarato che il governo ha ritenuto che “il diritto alla salute e alla vita siano più importanti del diritto alla protezione incondizionata dei dati personali”.

La privacy sui dati relativi alla salute è stata violata anche in Moldavia, dove il Presidente Igor Dodon il 9 marzo ha reso pubblico il nome della prima donna infettata da Covid-19, che rimane in ospedale a Chișinău.

L’esperto di GDPR Sergiu Bozianu sostiene che Dodon abbia chiaramente infranto la legge.

“In questo caso, le dichiarazioni di Igor Dodon potrebbero avere serie conseguenze per la paziente, i figli della donna, tutti i suoi parenti ed amici” ha detto Bozianu.

Alcuni paesi dell’Europa centrale, come la Slovacchia, stanno considerando la possibilità di sospendere alcune delle restrizioni imposte dal GDPR.

La settimana scorsa, il Primo ministro entrante della Slovacchia Igor Matović ha criticato le azioni intraprese dal governo uscente in risposta alla pandemia e ha avanzato l’idea di permettere agli operatori delle telecomunicazioni di inviare memorandum di quarantena a coloro che stanno facendo ritorno da hotspots di coronavirus.

Ha affermato la necessità di permessi speciali per sospendere alcune restrizioni al GDPR. “In una situazione di questo tipo, siamo convinti che una comunicazione di crisi con questi soggetti e in questa forma sia accettabile”.

Tomáš Kriššák, esperto in disinformazione e analista politico dell’Open Society Foundation, ha detto che il nuovo governo Matović dovrebbe procedere con cautela.

“La proposta dovrebbe sicuramente essere discussa con esperti in questo campo – ha detto – non c’è nulla di peggio che adottare in questo campo misure inconsistenti e sconsiderate”.

Il 19 marzo, Human Rights Watch ha pubblicato un report titolato I diritti umani e la risposta al COVID-19  , facendo notare come “i dati sulla salute siano particolarmente sensibili, e la pubblicazione di informazioni online possa mettere significativamente a rischio le persone interessate oltre ad altri soggetti vulnerabili o costretti ai margini della società”.

Secondo HRW, la salvaguardia legale basata sui diritti dovrebbe guidare l’uso appropriato dei dati personali.

I diritti relativi alla salute sono inoltre stati oggetto di attacchi online. Il gigante della cyber sicurezza rumeno Bitdefender ha detto venerdì [20 marzo, ndr]che gli attacchi online collegati al Covi-19 “sono aumentati del 475 percento a marzo rispetto al mese precedente” e ci si aspetta che i numeri continuino a crescere ulteriormente prima della fine del mese.

“Quasi un terzo degli attacchi collegati al Covid-19 hanno come obiettivo le autorità e le istituzioni sanitarie”, ha fatto sapere Bitfender in una recente dichiarazione.

Una delle varie strutture sanitarie colpite è stato un ospedale nella Repubblica Ceca che al momento viene utilizzato per eseguire i test sul coronavirus.

Sorveglianza “sugli spostamenti, non sui contenuti delle telefonate” 

Cina e Iran sono stati i primi paesi ad utilizzare la sorveglianza di massa durante la crisi, seguiti da Israele, dove il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha autorizzato le forze dell’ordine nazionali ad accedere ai dati dei telefoni cellulari per rintracciare i movimenti delle persone che hanno contratto il coronavirus ed identificare altri soggetti che dovrebbero essere messi in quarantena dal momento che hanno incrociato pazienti infetti.

La Serbia ha seguito questo esempio, anche se l’effettiva entità della sorveglianza e del rintracciamento dei telefoni cellulari rimane sconosciuta dato che l’unica persona autorizzata a parlarne è il Presidente Aleksandar Vučić.

“Seguiamo i numeri telefonici, soprattutto quelli italiani”, ha dichiarato Vučić ai giornalisti il 19 marzo scorso. “Non stiamo entrando nei singoli telefoni” ha specificato “seguiamo gli spostamenti delle celle telefoniche, delle persone con numeri di telefono italiani – e sì, ce ne sono e si spostano”.

“Non cercate di ingannarci lasciando il telefono in un punto solo mentre vi spostate, perché abbiamo trovato un altro modo di rintracciare chi infrange la legge, capire come l’ha infranta e dove”, ha aggiunto

Ma Danilo Krivokapić, direttore di Share Foundations, ha detto che secondo la Costituzione serba, il diritto alla protezione dei diritti personali in quanto diritto umano è garantito anche durante lo stato di emergenza attualmente in corso in Serbia.

Secondo la Legge sulla Comunicazione Elettronica (Articolo 128), l’accesso ai dati personali telefonici in Serbia (compresa la geolocalizzazione) è permessa solo tramite un mandato giudiziario.

“Questo significa che qualsiasi accesso a dati di questo tipo senza un mandato al momento è illegale”, ha dichiarato Krivokapić a BIRN. “Uno stato di emergenza non dà al governo il diritto di infrangere le leggi in maniera arbitraria, c’è una procedura specifica da seguire se alcuni dei diritti costituzionalmente garantiti devono essere ristretti”.

Arrestati per aver “postato” il panico

Da WhatsApp a Facebook, fake news e propaganda hanno inondato i social media dalla Turchia alla Slovacchia.

In molti casi, i media sia tradizionali che online sono parte della macchina della disinformazione.

Turchia, Serbia, Ungheria e Montenegro hanno imposto gravi sanzioni ed effettuato arresti per post sui social che, secondo le autorità, potevano provocare il panico e mettere a repentaglio la sicurezza pubblica.

Da quando la maggior parte degli stati hanno dichiarato lo stato di emergenza, molti di questi casi hanno implicato sanzioni draconiane o detenzioni prive di giustificazioni legali.

Solo nelle ultime due settimane, più di 80 persone sono state arrestate e almeno 260 sono state multate per aver diffuso informazioni false, secondo i dati ottenuti da BIRN.

L’Unità contro il Cyber crimine della polizia ungherese ha arrestato diverse persone per aver diffuso fake news, a cominciare dai primi di febbraio quando la polizia ha svolto un raid contro gli operatori di una rete di siti di fake news.

I siti erano operativi da diverso tempo ma sono stati chiusi dalla polizia soltanto quando hanno cominciato a riportare notizie sulla presenza del coronavirus in Ungheria, prima che le autorità confermassero la presenza del virus.

La polizia ha poi cominciato a monitorare i media ungheresi online alla ricerca di fake news correlate al coronavirus. A metà marzo, uno youtuber è stato arrestato con l’accusa di diffondere fake news riguardo al lockdown della capitale, Budapest.

Anche Independent media è finito nel mirino del governo e dei media nazionali dopo aver pubblicato articoli riguardanti il sistema sanitario in Ungheria. Molti temono che la legislazione proposta possa aumentare gli attacchi ai media indipendenti e renda legali punizioni draconiane per qualsiasi notizia venga ritenuta dalle autorità fake news e istigazione al panico.

Una proposta di legge, che dovrebbe essere presentata in parlamento la prossima settimana, specifica che coloro che durante lo stato di emergenza diffondono in pubblico o in altri modi notizie false o distorte al fine di impedire o rendere difficoltose le misure di sicurezza, rischierebbero il carcere da uno a cinque anni.

Secondo i dati della polizia ungherese, al momento sono in corso processi contro 14 persone per aver diffuso false notizie e contro altre 12 per aver messo in pericolo la sicurezza pubblica.

Nella vicina Serbia, dove le leggi seguite allo stato di emergenza sono già in vigore, quattro persone sospettate di aver causato il panico ed il disordine pubblico sono state arrestate la settimana scorsa [due settimane fa, ndr].

Giovedì [19 marzo, ndr], un uomo è stato arrestato a Belgrado dopo aver diffuso informazioni false in un gruppo Viber, dicendo che le pompe di benzina avrebbero smesso di erogare i loro servizi al pubblico. Lo stesso giorno la polizia a Kruševac, Serbia centrale, ha arrestato un altro uomo per aver diffuso sui social la notizia che un uomo era stato contagiato dal Covid-19. Un altro è stato arrestato nella cittadina di Požarevac dopo aver condiviso informazioni false riguardanti negozi e stazioni di benzina.

In Montenegro, un uomo è stato costretto ad una custodia di 30 giorni dopo aver postato su Facebook che le autorità nascondessero l’effettivo numero di casi di coronavirus nel paese.

In Turchia, secondo il ministero dell’Interno, dei 242 individui sospettati di aver pubblicato fake news e altre notizie provocatorie riguardo il coronavirus sui social media, 64 sono stati tenuti in custodia. Fra di loro ci sono diversi giornalisti.

Il governo della Republika Srpska [entità della BiH] ha inoltre emesso un decreto giovedì [19 marzo, ndr] che vieta di provocare “il panico ed il disordine pubblico” durante lo stato di emergenza. Il governo in carica censura la pubblicazione e la trasmissione di fake news sui media e sui social networks. “I responsabili non potranno nascondersi, nemmeno sui social. Li troveremo”, ha dichiarato il ministro dell’Interno Dragan Lukać.

Chi è ritenuto responsabile di aver incitato il panico ed aver diffuso fake news riceverà una multa che può andare dai 1.000 ai 3.000 marchi bosniaci (dai 500 ai 1.500 euro), mentre le aziende potranno ricevere multe da 3.000 a 9.000 marchi (fra i 1.500 e i 4.500 euro). Fin’ora, una donna è stata multata per un post che ha pubblicato su Instagram.

L’avvocato Tatjana Savić ha detto che non è corretto aspettarsi che tutti possano capire la correttezza o meno di un’informazione acquisita in rete. “Non dovrebbero essere i cittadini a fare fact-checking sulle notizie”, ha dichiarato Tatjana Savić a BIRN: “Prevenire la diffusione del panico è un obiettivo legittimo del governo, ma con questo tipo di legislazione il peso di essere al corrente della correttezza di ogni informazione che condividono sui social cade tutto sui cittadini”.

“Temo che molte delle cose che i cittadini pubblicano esprimendo la loro opinione personale verranno considerate una violazione di questa legge”.

Pessimo giornalismo, poca fiducia

Bufale e propaganda sono comuni nei media mainstream, ma anche sui social network – da Facebook, Instagram e Twitter fino alle app di messaggistica come Whatsapp e Viber.

Marija Vučić è una giornalista per il portale di fact-checking Raskrikavanje  , parte del Crime and Curruption Reporting Network, KRIK. “Circolano più fake news del solito, soprattutto sui social network, ma anche sui tabloid – ha dichiarato a BIRN – non appena visito il sito di un tabloid, sono sicura di poter trovare fake news sul coronavirus in meno di trenta secondi”.

Anche Ivana Živković, del sito web croato Faktograf specializzato in fact checking, ha espresso la sua preoccupazione. “Un problema rilevante è posto dai gruppi Whatsapp e simili piattaforme comunicative, che contribuiscono alla circolazione di informazioni false”, ha detto Živković a BIRN, avvisando che in gruppi chiusi di questo tipo è molto più difficile evitare la diffusione di informazioni false.

“I responsabili della diffusione lo fanno principalmente per denaro, perciò, usando contenuti falsi che possano produrre panico, generano traffico e aggiungono vicino alle notizie degli annunci pubblicitari che poi monetizzano. Ovviamente vi sono poi anche i soliti cospirazionisti”.

Nella maggior parte dei casi, anche se le informazioni false non sono diffuse con intenti maligni, sono il risultato di giornalismo di bassa qualità, sostiene David Bailey, che vive nei Balcani, formatore all’inclusione digitale. “Il fatto è che le persone non fanno fact checking, non fanno nemmeno delle semplici ricerche per verificare le fonti”.

“Questo, unito a titoli accattivanti, fa sì che il lettore medio condivida senza pensare. Il risultato è ovvio. È inoltre impressionante come molti giornalisti sia online che tradizionali non mettano dei link – o non vogliano farlo – al sito dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, che fornisce informazioni attendibili”. 

L’indice di Alfabetizzazione mediatica 2018 della sede di Sofia dell’Open Society Institute fa notare che i paesi balcanici sono vulnerabili alle fake news – questo per via di media altamente controllati, del basso livello di educazione e della poca fiducia nella società.

Una ricerca svolta dal Reuters Institute dice che i media del sud-est Europa sono molto diversi fra di loro ma anche polarizzati, per via della loro dipendenza economica dagli oligarchi e per gli alti livelli di sfiducia da parte della popolazione.

La stessa cosa accade in Europa centrale.

Gli esperti dicono che la popolazione Slovacca è particolarmente predisposta a credere alle teorie del complotto.

Negli ultimi anni, la maggior parte delle iniziative e degli strumenti anti-propaganda sono arrivati da attivisti della società civile, che cercano di rintracciare i siti cospirazionisti, di fake news o di campagne di disinformazione sui social media. Le infrastrutture statali in quest’area sono molto limitate e le comunicazioni ufficiali in merito a bufale e fake news sono molto spesso confuse.

Tomáš Kriššák, della Open Society Foundation, dice che gli sforzi dello stato riescono a malapena a scalfire la superficie.

“Per lo stato attuale delle cose, lo stato deve provvedere in breve tempo a sopperire alla mancanza di infrastrutture nell’ambito delle comunicazioni strategiche rivolte ai cittadini e richiedere un controllo più esteso dei contenuti provenienti da Facebook e Google, che continuano a gestire questa area della sicurezza, di vitale importanza, in maniera eccezionalmente irresponsabile e permissiva”, dice.

Anche in Macedonia del Nord, come riporta la giornalista ed attivista Teodora Cvetkovska, l’alfabetizzazione riguardante i social media è molto bassa.

“Sono tempi molto pericolosi, c’è stato un incremento di casi di coronavirus e veniamo assaliti da notizie come ‘Ecco come curare il coronavirus’, ’10 modi in cui si trasmette il virus’. Ripeto, non ci sono rimandi o fonti citate da quegli articoli che possano permettere di verificare la veridicità delle informazioni riportate”, nota Cvetkovska.

“Le persone qui possono essere facilmente trappola di informazioni simili, soprattutto dal momento che la tendenza generale del paese è leggere solo i titoli, non gli articoli completi”.

Ahmen Erdi Öztürk, professore di Relazioni Internazionali alla London Metropolitan University, dice che si crede più facilmente alle fake news in paesi dove il governo manipola più spesso i dati.

I cittadini turchi, ha detto, hanno perso fiducia nei confronti del governo per via di svariate campagne di disinformazione ordinate dal governo di Recep Tayyip Erdoğan.

“Il governo turco ha manipolato i fatti e i media diverse volte a proprio favore”, dice Öztürk.

Secondo Allie Funk, di Freedom House, i cittadini dovrebbero cercare di distinguere quali sono le azioni intraprese in maniera legittima dal governo per risolvere il problema della salute pubblica, azioni che minano gli sforzi fatti per contrastare la pandemia e momenti in cui i politici invece cercano di sfruttare la situazione a loro favore. “I cittadini medi che usano la rete dovrebbero inoltre prestare attenzione ed assicurarsi di non fruire o non distribuire fake news”, dichiara Funk a BIRN. “Dovrebbero ottenere le informazioni solo da fonti attendibili, come le organizzazioni internazionali e nazionali che si occupano di salute pubblica o media indipendenti”.


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