Abbassare il volume del pluralismo vuol dire mettere a tacere un’idea, un progetto…

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Prima di domandarci “chi ha paura del pluralismo?” dovremmo forse chiederci quale idea di pluralismo ci sia in giro. Perchè il dubbio che mi viene (e chiedo scusa se adotto la prima persona singolare) è che il “pluralismo” sia come il sale: diamo tutti per scontato di averlo in casa, ma prima o poi capita di dover suonare al vicino per farcene passare un cucchiaio.

Nel linguaggio politico italiano la parola “pluralismo” entra solo nel dopoguerra. L’Enciclopedia Treccani delle Scienze sociali ricorda che “il Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli la riporta nella X edizione, che è del 1970. Essa indica, in primo luogo, una società nella quale vi siano due o più partiti, la libertà di organizzazione degli interessi (dei lavoratori e dei datori di lavoro), il riconoscimento delle comunità e delle associazioni intermedie fra l’individuo e lo Stato”. C’è poi una declinazione più intima, comunque dalla portata collettiva: “Il termine – precisa sempre la Treccani – indica il pluralismo delle fedi religiose, delle culture, dei valori etici. Il vocabolo assume subito una valenza politica contro il monismo dello statalismo e del totalitarismo, ma, insieme, contiene anche una presa di distanza dall’individualismo proprio di una certa tradizione liberale”.

Messa così non dovrebbe esserci dubbio che il “pluralismo” è un bel po’ di quel sale con cui condire la “democrazia”. Non è un caso che il 4 dicembre il Capo dello Stato abbia voluto fornire un utile ripasso: “La nostra Costituzione non si limita a stabilire principi e valori – ricordava Sergio Mattarella nel messaggio in occasione del centenario dell’Associazione stampa parlamentare – ma chiede allo Stato di farsi parte attiva per il loro raggiungimento. Il pluralismo informativo è un valore fondamentale per ogni democrazia, che va difeso e concretamente attuato e sostenuto”. E comprendere appieno il senso dell’esortazione del presidente Mattarella, bisogna riprendere in mano ancora la Treccani (un esercizio che certamente potrebbe tornare utile a qualche parlamentare che magari frequenti la ricca biblioteca di Senato e Camera). Grazie al dibattito pubblico e alla crescita culturale dell’Europa “vi furono anche uomini nelle classi alte – dotti o politici – che intuirono che alla lunga la vera soluzione era la tolleranza, l’accettazione del diverso: il pluralismo trasformò poi il principio della tolleranza in quello della libertà religiosa”.

Perciò, più che chiedersi quanti soldi in meno verranno date alle testate che garantiscono il pluralismo, dobbiamo far interrogare su che cosa davvero rischiamo di perdere. Perché abbassare lentamente e inesorabilmente il volume del pluralismo non vuol dire solo mettere la sordina ad alcune voci. Significa, soprattutto, mettere a tacere un’idea, un progetto, una visione di convivenza che, nel bene o nel male, ha ancora un solo nome: democrazia.


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