Perché la Costituzione fa ingresso nelle carceri

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Il progetto “Viaggio nelle carceri”, nato da un’idea del Prof. Ruotolo, costituzionalista dell’università Roma Tre, è entrato nel vivo della sua programmazione.
Il 4 ottobre ha aperto i battenti attraverso una diretta streaming che ha messo in contatto circa 150 istituti penali italiani e il carcere di Rebibbia, vedendo ospitati diversi giudici della Corte Costituzionale.
L’apertura ai temi proposti è stata argomentata dal presidente Lattanzi, in seguito l ‘introduzione della giornalista Donatella Stasio e i saluti del nuovo capo del Dap, Basentini. I temi trattati mediante domande dirette poste da ristrette e ristretti ai giudici della Corte Costituzionale hanno spaziato dal diritto all’affettività, diritti di cittadinanza, ergastolo ostativo e diritto alla speranza, attività teatrale in carcere, lavoro ai detenuti a seguito di dimissione, espulsione degli immigrati.

Le risposte dei giudici costituzionali, da Giuliano Amato a Marta Cartabia, passando per il prof Viganò, hanno specificato che il giudice delle leggi ha il compito precipuo di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla concreta, piena e corretta esecuzione della legge formale; senza poter modificare l’esistente, se non mediante una decisione di incostituzionalità. Sono mancate le risposte pubbliche in tema di ergastolo ostativo. Riguardo ai diritti di cittadinanza, la cui massima espressione è realizzata nel diritto di voto, i giudici hanno demandato alla politica la risoluzione di tale impedimento, richiamato genericamente nell”interdizione ai pubblici uffici. Ma il detenuto più arguto, ha chiesto con semplicità al Presidente Lattanzi il motivo per cui solo oggi i giudici della Costituzione si siano decisi ad entrare nelle patrie galere. La risposta è stata articolata: perché la Costituzione ha ormai raggiunto i suoi 70 anni e perché la Carta di tutti i cittadini/e difende i più deboli ma, aggiungo, forse perché l’emergenza di ribadire che l’esecuzione penale è regolata dai diritti fondamentali della persona, seppur a seguito di cesura determinata dal mancato rispetto della legge penale, resta sempre attuale. Ribadire che il cambiamento della persona è possibile, se non auspicabile, generato dall’impegno da parte delle amministrazioni deputate a tale compito, rappresenta un grande esercizio di legalità e di fiducia nelle funzioni dello Stato, anche esse quando restano invisibili alla comunità esterna.
È opportuno ribadire che la rieducazione penitenziaria diventa complicata in assenza di risorse umane deputate a tale orientamento e con una cronica  carenza di opportunità professionali per i ristretti. Tuttavia, l’idea di risolvere le questioni mediante la costruzione di nuove carceri rappresenta un’idea già praticata e fallita con le “carceri d’oro” e, poco in linea con gli orientamenti garantisti della Carta costituzionale.


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