Premio Internazionale sui Diritti Umani. Per interpellare la coscienza di ognuno di noi

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È la consapevolezza che le migrazioni sono il più importante fattore di cambiamento nelle società contemporanee, piaccia o non piaccia a Lega e Casa Pound, il motore del progetto artistico alla base del Premio Internazionale sui Diritti Umani, sulla cultura del dialogo e sulla Letteratura delle Migrazioni “Marisa Giorgetti” (www.premiogiorgetti.org), giunto alla sua quarta edizione e promosso — con il sostegno di molte realtà tra cui Amnesty, Asgi, Banca Etica — da ICS–Consorzio Italiano di Solidarietà (www.icsufficiorifugiati.org), una onlus che dal 1998 opera nel campo dell’accoglienza per richiedenti asilo, rifugiati e persone titolari di protezione temporanea o sussidiaria presenti in Friuli Venezia Giulia e che da sempre non si limita a erogare servizi ma lavora a 360 gradi per affermare i principi della pace e della non violenza e promuovere il dialogo e la convivenza. La serata della premiazione dell’ultima edizione, tenutasi al teatro Miela di Trieste l’8 dicembre scorso, non poteva non iniziare con un ricordo di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore morto improvvisamente il 26 novembre, segnalato per il Premio per ben due volte — nel 2013 e quest’anno — proprio per la sua capacità di dare voce a storie che è più comodo dimenticare: l’Ilva, l’affondamento della Kater i Rades, magistralmente narrata ne “Il naufragio”, la vicenda dei lavoratori polacchi trovati morti nelle campagne di Ortanova, raccontata in “Uomini e Caporali”, le migrazioni internazionali e il ruolo del nostro Paese in tutto ciò, trattate ne “La frontiera”, presentato a Trieste lo scorso anno, un libro in cui Leogrande si proponeva, riuscendoci pienamente, di contrastare la cappa di silenzio e il processo di deumanizzazione attivati su questo fenomeno, superando l’approccio puramente amministrativo con cui ormai si è tentati di affrontare l’immigrazione.

E su questa strada sono impegnati tutti i vincitori del Premio Giorgetti, di quest’anno come delle passate edizioni: esperienze e persone che prima di ogni altra cosa hanno riconosciuto degli esseri umani in coloro che lasciano la loro terra per scappare da guerre e persecuzioni e tentare un futuro, non necessariamente migliore, ma almeno un futuro. Non merce di scambio, non fastidi da eliminare in qualunque modo, non corpi da calpestare, su cui si può sputare e spegnere il sigaro, ma persone.

Come il Centro Baobab di Roma, a cui la giuria della Sezione Diritti Umani del Premio ha assegnato la Menzione Speciale: donne e uomini, residenti nella capitale e provenienti da varie parti del mondo, che dal maggio 2015 si autogestiscono per accogliere e supportare altre donne e altri uomini, migranti in transito, provenienti per lo più dall’Africa, nel loro passaggio a Roma. In due anni e mezzo Baobab ha ospitato e aiutato 72.000 persone. In due anni e mezzo Baobab ha subito 18 sgomberi. E ogni volta è ripartito da capo, supplendo a varie carenze delle istituzioni italiane.

Come Cagla Aykac, a cui la giuria della Sezione Diritti Umani ha assegnato il Premio 2017: docente all’Università di Ginevra, fotoreporter e ricercatrice, membro di Academics for peace in Turchia e autrice di studi sulle trasformazioni dello spazio europeo a seguito dell’incontro con l’Islam, è stata costretta a dimettersi dalla sua docenza all’Università di Istanbul dopo aver redatto assieme ad altri accademici una petizione per chiedere al governo turco dei chiarimenti riguardo alle azioni di guerra intraprese dal mese di agosto 2015 contro dei villaggi kurdi. Ma le dimissioni non sono state sufficienti: gli Academic for Peace sono stati oggetto di intimidazioni e violenze, molti di loro sono stati licenziati, incarcerati e costretti all’esilio o al contrario è stato loro impedito di lasciare il Paese. Purtroppo non c’è da stupirsi, perchè anche quest’anno, secondo quanto riportato dal rapporto 2017 di Committee to Protect Journalist, va alla Turchia il primato per il numero più alto di giornalisti imprigionati.

Come Enrico Deaglio, a cui la giuria della Sezione Letteraria ha assegnato il Premio 2017 per il libro “Storia vera e terribile tra Sicilia e America” (Sellerio editore, 2015): Deaglio ricostruisce un linciaggio collettivo immotivato e feroce, di cui furono vittime cinque giovani siciliani emigrati negli Stati Uniti. Un evento quasi sconosciuto in Italia, che invita a riflettere su dinamiche simili riscontrabili oggi.

Come Giulio Piscitelli, a cui la giuria della Sezione Letteraria ha assegnato la Menzione Speciale per il libro “Harraga” (Contrasto Editore, 2017): Piscitelli è un fotografo e harraga è il termine con cui, in dialetto marocchino e algerino, si definisce il migrante che viaggia senza documenti, che “brucia le frontiere”. Frontiere che Piscitelli ha calcato in prima persona documentandole: immagini che gridano il dolore di tanti esseri umani e interpellano la coscienza di ognuno di noi; immagini che sono visibili fino al 20 dicembre al teatro Miela di Trieste.

Un’occasione, quella che ci viene offerta dalla mostra (dal vivo o sul libro) e da queste testimonianze di resistenza, per restare umani e chiederci cosa possiamo fare per restituire dignità a questi uomini e a queste donne in fuga.

Perché ciascuno e ciascuna di noi può fare qualcosa, non occorre essere noti o rivestire dei ruoli particolari: ce lo dimostra Marisa Giorgetti, una donna che pochi conoscono, di cui non hanno parlato né le televisioni né i giornali, ma che oltre a praticare l’accoglienza aprendo la sua casa è stata l’ispiratrice di idee e progetti innovativi nel campo della tutela dei diritti umani e dell’accoglienza. Progetti che ancora oggi portano frutti.


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