Drago Hedl: il mestiere del giornalista, tra minacce e umiliazioni

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Drago Hedl, pluripremiato giornalista e scrittore croato  , è stato recentemente bersaglio di un tentativo di corruzione da parte di Franjo Lucić, esponente del partito di governo (HDZ), il quale, offrendogli denaro, ha tentato di dissuaderlo dal pubblicare un reportage investigativo che mette a nudo i suoi affari sporchi. Un tentativo inutile, perché Hedl ha pubblicato non solo il reportage in questione, ma anche la registrazione della controversa telefonata.

Questo suo atto coraggioso non ha colto di sorpresa quasi nessuno, salvo forse Franjo Lucić. Si tratta, del resto, solo dell’ultimo di una lunga serie di gesti coraggiosi e audaci compiuti da Hedl nel corso della sua pluridecennale carriera giornalistica. Vincitore di numerosi riconoscimenti per il suo lavoro di giornalista e scrittore, nonché per il suo impegno in difesa dei diritti umani, Hedl ci parla di questo recente episodio ma anche dei suoi progetti letterari.

Sono in pochi a credere che Franjo Lucić, fino a poco tempo fa presidente della sezione dell’HDZ della Contea di Požega-Slavonia, abbia deciso autonomamente di dimettersi da tutti gli incarichi di partito, e sono ancora meno quelli che credono che si tratti, come emergerebbe dalla sua dichiarazione patrimoniale, del più povero tra i deputati del Sabor [parlamento croato]. Nonostante le sue rivelazioni sul conto di Lucić, e il tentativo di quest’ultimo di corromperla affinché non le pubblicasse, per il momento mantiene comunque il suo seggio in Parlamento. Ritiene che qualcosa potrebbe cambiare al riguardo?

Sono convinto che è stato il vertice del partito a ordinare a Lucić di dimettersi. Egli ama troppo il potere politico per tirarsi indietro così facilmente. È proprio grazie al potere politico di cui disponeva che ha potuto fare tutto quello che ha fatto, comprese le malversazioni finalizzate a far ottenere alle imprese di sua proprietà prestiti a tasso agevolato, sovvenzionati dallo stato, per costruire edifici residenziali lungo il litorale. Una volta terminati i lavori e venduti gli appartamenti, i dipendenti delle aziende “Tofrado” e “Tofrado bačvarija” di proprietà di Lucić sono finiti per strada. Tra di essi c’erano molti veterani di guerra. Uno di loro, avendo perso l’unica fonte di sostentamento, si è tolto la vita. Eppure non si è alzata nessuna voce di protesta.

Nell’HDZ erano ovviamente al corrente di tutti gli affari di Lucić. Dovevano esserne a conoscenza, se non altro perché le notifiche delle denunce penali nei suoi confronti venivano recapitate anche alla sede centrale del partito. Ma Lucić continuava a vincere le elezioni, e chi vince può fare quello che gli pare. Se non fosse stato per quel tentativo di scongiurare la pubblicazione di un testo giornalistico con una bustarella, sono certo che non gli sarebbe successo niente. Tutto quello che ho rivelato su di lui in quel reportage investigativo pubblicato in tre puntate sul settimanale Telegram – e sono cose di gran lunga peggiori di un tentativo di corruzione – non sarebbero bastate a indurlo alle dimissioni. La vicenda della bustarella ha suscitato grande scalpore perché, per quanto ne so, è la prima volta che un palese tentativo di corrompere un giornalista viene registrato e reso pubblico.

Il ‘vecchio’ HDZ, quello (dei tempi) di Sanader, aveva pagato il cantante nazionalista Marko Perković Thompson perché non si esibisse ai meeting preelettorali di altri partiti politici, e Lucić ha solo adattato un po’ questa formula all’immagine del ‘nuovo’ HDZ, presumibilmente più credibile, cercando di pagare un giornalista per non scrivere.

I vertici dell’HDZ, ovvero del governo, hanno tacitamente sopportato l’imbarazzo per un paio di giorni, e ora si comportano come se nulla fosse successo. Il premier Andrej Plenković neanche questa volta si è scomposto più di tanto. Si aspettava una reazione diversa?

Non appena è scoppiato lo scandalo della bustarella, ho chiesto ai vertici del partito un commento. Non solo non mi hanno risposto, ma fino ad oggi non c’è stata alcuna reazione al riguardo. Tutti tacciono. Un silenzio totale. Pensano, a quanto pare, che le dimissioni di Lucić da tutti gli incarichi di partito siano sufficienti e che con ciò il caso sia risolto.

Ricordiamoci però un altro caso abbastanza simile, quello del deputato del SDP ed ex sindaco di Vukovar Željko Sabo [condannato per tentativo di corruzione nei confronti di due consiglieri del comune di Zagabria, ndt.]. All’epoca dei fatti, ogni alto funzionario dell’HDZ che ci teneva alla propria reputazione aveva pubblicamente condannato il gesto di Sabo, scagliandosi duramente contro di lui. Sabo è stato sottoposto ad un linciaggio eccessivo, attaccato da tutte le parti, con ogni arma e mezzo, e “le istituzioni del sistema” si sono dimostrate più efficienti che mai: una denuncia istantanea, un processo fulmineo e una sentenza di conferma della condanna emessa dalla Corte suprema alla velocità della luce. E prima che Sabo riuscisse a capire cosa stava succedendo, era già in prigione. Vedremo come agiranno adesso “le istituzioni del sistema”.

Lei ha sperimentato la persecuzione giudiziaria sulla propria pelle per via del suo lavoro di giornalista. Pensa che una cosa del genere possa ripetersi anche adesso, dopo la pubblicazione di quest’ultima serie di testi investigativi?

Non ci sarebbe nulla di strano. Lucić sta già minacciando di denunciarmi per diffamazione, e magari si ricorderà che potrebbe denunciarmi anche per aver registrato la nostra conversazione a sua insaputa e senza il suo consenso. Quest’ultima cosa è meno innocua, si può finire in prigione. Ma forse avrò fortuna: potrei finire in parlamento come Marija Budimir che, dopo aver registrato di nascosto la conversazione con Željko Sabo, consegnando la registrazione ai media, è stata eletta deputata. Strane sono le vie del Signore. Soprattutto in Croazia.

Nel corso della sua pluridecennale carriera giornalistica ha collaborato in varie redazioni, scrivendo innumerevoli articoli. È rimasto sorpreso dal gesto di Lucić? Dopo tante minacce e intimidazioni subite per aver fatto un giornalismo di qualità, c’è qualcosa che può ancora sorprenderla?

L’offerta di Lucić era davvero una cosa nuova. Non mi ha minacciato, mi ha offerto denaro. Avrà valutato che la carota sarebbe stata più efficace del bastone. Ma quando mi ha offerto soldi per dimenticare tutto quello che avevo scoperto sui suoi affari, senza pubblicarne nemmeno una riga, mi sono sentito male come quando ricevevo minacce. È una situazione umiliante. Magari per lui è normale risolvere le cose in questo modo.

A un certo punto, come si sente bene nella registrazione, mi ha detto: “I soldi non sono un problema”. Colui per il quale i soldi non sono un problema, e di quelli non ce ne sono molti in questo paese, probabilmente ha colto l’essenza del proverbio: Para vrti gdje burgija neće (Col denaro si arriva là dove con un trapano non si può). In questo paese si può comprare e vendere qualsiasi cosa, è solo una questione, come ha detto una volta Stipe Mesić, di punto di fusione. Si vendono diplomi, sentenze giudiziarie, amnistie, certificati medici, posti di lavoro, poltrone… l’offerta è ampia.

Seduto al Sabor c’è anche un personaggio a lei ben noto, l’uomo che nel 1991 fece irruzione nella redazione di Glas Slavonije, di cui lei all’epoca era caporedattore. Il processo a carico di Branimir Glavaš per crimini di guerra, di cui lei si è occupato estensivamente sia come giornalista sia come saggista, dopo tanti anni di peripezie riparte da capo. Egli nel frattempo resta deputato. Come commenta questa situazione?

Glavaš è stato eletto deputato, quindi ci sono persone che lo sostengono, che gli hanno dato il proprio voto, facendolo entrare in parlamento. Il punto interessante qui è un altro: in seno a una maggioranza parlamentare talmente instabile da far dipendere il governo di Andrej Plenković dalla fiducia di uno o due deputati, il mandato di Glavaš ha un peso enorme. Nonostante il suo partito sia in uno stato di totale disorganizzazione, ridotto ai minimi termini, tanto che sembra che abbia meno membri di quante sono le lettere che compongono il suo nome, l’HDSSB (Alleanza democratica croata della Slavonia e Baranja) è più influente nel Sabor oggi di quanto non lo fosse nei suoi momenti d’oro, quando aveva sette deputati. Oggi ne ha uno, per l’appunto Glavaš, di cui però Plenković ha bisogno. E in che misura ne ha bisogno lo dimostra anche il fatto che Josip Salapić – uno di quei sette deputati dei tempi d’oro dell’HDSSB che si presentavano in aula parlamentare indossando un badge con la scritta “Eroe, non criminale” – è stato nominato segretario di stato presso il ministero delle Giustizia, proprio ora, alla vigilia della riapertura del processo a carico di Glavaš per i crimini di guerra commessi a Osijek. Quindi, l’HDSSB, il cui presidente – a dire il vero, soltanto ad interim – è Branimir Glavaš, è in coalizione con l’HDZ e rappresenta la base su cui poggia la piramide del potere di Plenković. Questo dice molto di più sul vertice che sulla base della piramide.

Glavaš è uno dei protagonisti della grande riconciliazione tra gli ex avversari nella scena politica croata, di cui da qualche settimana parla Vladimir Šeks. Anche quest’ultimo è un personaggio la cui carriera politica è oggetto del suo interesse giornalistico da anni. Come vede il suo attuale ruolo nell’HDZ?

Šeks è un grande giocatore, credo che non abbia pari nella politica croata. A partire dagli anni Novanta è stato coinvolto in tutti i principali avvenimenti accaduti in questo paese. Pur con alti e bassi, è stato sempre al centro della scena politica. È interessante questo suo recente tentativo di riconciliarsi con tutti. Alcuni hanno accettato la sua mano tesa, sicché l’abbiamo recentemente visto insieme a Glavaš, sorridenti e abbracciati, in una fotografia pubblicata sul profilo Facebook di quest’ultimo  .

È nobile perdonare e chiedere perdono. A volte non è facile, né l’una né l’altra cosa. Ci si chiede però se in questa grande riconciliazione Šeks riuscirà a riappacificarsi proprio con tutti. Con Josip Manolić [fu membro dei servizi segreti jugoslavi UDBA, ex politico croato e capo dell’Unità di sicurezza nazionale croata UZUP durante la guerra] e Stjepan Mesić [ultimo presidente della SFRJ poi primo ministro e presidente della Repubblica di Croazia, testimoniò al tribunale dell’Aja facendo emergere le responsabilità del paese nella guerra in Bosnia] forse sì (è stato lui stesso a menzionarli), ma resta da vedere come andranno le cose con i sopravvissuti membri della famiglia Zec [famiglia serba, i cui tre membri furono brutalmente uccisi nella loro casa di Zagabria nel 1991, quando Šeks era procuratore generale dello stato], con Jadranka Reihl-Kir [vedova del capo della polizia di Osijek, ucciso anch’egli nel 1991], per citare solo alcuni…

La Slavonia attira costantemente il suo interesse, sia da giornalista sia da scrittore. Avendo scritto molto sul suo presente e passato, come vede il suo futuro?

Scrivo di quello che conosco meglio, per cui tutti i miei romanzi, sia quelli già scritti sia quelli che intendo scrivere, sono ambientati a Osijek e in Slavonia. Sono nato a Osijek e ho trascorso solo quattro anni al di fuori dei confini della Slavonia: uno negli Stati Uniti, un altro a Skopje – dove ho fatto il servizio militare, il peggior anno della mia vita – poi uno a Londra e uno a Fiume. Perciò penso di conoscere la Slavonia e la mia città natale. Temo che il futuro della Slavonia non sia per nulla luminoso. I villaggi si stanno spopolando, e nemmeno nelle città la situazione è molto migliore. La mia Osijek in un certo senso si è rimpicciolita, ristretta, come una camicia da pochi soldi dopo il primo lavaggio. Si sta degradando, insieme all’intera Slavonia.

Scrive i suoi romanzi quasi con la stessa velocità con cui produce pezzi giornalistici. Come vanno le cose sul fronte letterario?

Purtroppo, in questo momento addirittura cinque romanzi aspettano di essere finiti. Al momento sto lavorando a un manoscritto intitolato “Vrijeme seksa u doba nevinosti” (Il tempo del sesso nell’epoca dell’innocenza), concepito come seguito del mio primo romanzo “Donjodravska obala” (Sulle rive della bassa Drava). Ho avuto una brutta esperienza con questo secondo romanzo. Un criptovirus mi ha bloccato tutti i file del computer, compreso quello contenente il manoscritto quasi finito de “Il tempo del sesso…”. Ho cominciato a scrivere tutto da capo, ma è una fatica, mi creda, una fatica tremenda. Comunque spero di riuscire a finirlo. Sarà una trilogia sui generis, perché una volta finito il secondo romanzo, ho intenzione di scrivere un altro che ripercorrerà il periodo in cui quel ragazzo del primo romanzo, Dado Kenig, indaga sulla storia della sua famiglia e sull’ambiente in cui è cresciuto, scoprendo fatti che lo sconvolgeranno profondamente.

Devo finire anche il terzo capitolo di una trilogia thriller dal titolo provvisorio “Kijevska piletina” (Pollo alla Kiev). Il primo romanzo di questa trilogia, intitolato “Izborna šutnja” (Silenzio elettorale  ), che uscirà a breve nella traduzione italiana per i tipi della nota casa editrice Marsilio di Venezia. Ho inoltre firmato un contratto con la casa di produzione “Drugi plan” – produttrice, tra l’altro, di un’ottima serie intitolata “Novine” – per una serie tv tratta da questa trilogia, la cui realizzazione inizierà forse già l’anno prossimo. Appena finisco questo giallo, mi metterò alla prova con una commedia nera, di cui ho già scritto alcuni capitoli, e sono piuttosto impaziente di iniziare. Il titolo di lavoro è “Pomrčina u Sunčanom domu” (Buio nella casa del Sole). Poi mi aspetta un romanzo profondamente intimo e piuttosto doloroso perché riguarderà la mia propria vita.

Voglio portare a termine tutto questo e il tempo non abbonda. Credo che pian piano abbandonerò il giornalismo per dedicarmi ai miei libri. Se riuscirò a scrivere tutto quello che mi sono prefisso, lascerò dietro di me ben otto romanzi. Abbastanza per una vita.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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