Rossellini: raccontò l’Italia negli anni dell’abisso

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Quarant’anni dalla scomparsa di Roberto Rossellini: il regista che raccontò l’Italia della disperazione e delle lacrime, l’Italia dello sfacelo e ormai priva di ogni prospettiva, l’Italia in cui Roma era in balia di Kappler e dei nazisti e l’Italia dell’immediato dopoguerra, sfiancata dalla miseria e animata unicamente dalla speranza di poter ricominciare a vivere.
Rossellini e il neo-realismo, con le sue descrizioni strazianti di una Berlino ridotta allo stremo, in condizioni difficili persino da immaginare e che lui, invece, seppe raccontare con rara maestria.
Rossellini: un maestro del cinema mondiale nonché un uomo dalla cultura sconfinata, poliedrico nei suoi interessi e capace di narrare qualunque storia, qualunque tragedia con la medesima intensità, specie quando si trattava di rievocazioni degli anni barbari del fascismo e della guerra o della stagione eroica, ma non certo meno tragica, della Resistenza.
Rossellini che seppe essere grande proprio per la potenza evocativa delle sue opere, che seppe farci piangere, emozionare e riflettere, che seppe far rivivere una delle epoche più amare della nostra storia e che realizzò dei film che ancora oggi, a settant’anni di distanza, conservano intatta la loro attualità.
Rossellini: un regista universale, un simbolo del nostro Paese, un aedo meticoloso nonché la coscienza critica dei drammi di un tempo che non può, non deve morire, in quanto in esso sono racchiuse le radici di ciò che siamo oggi.
Quarant’anni dalla sua morte e il dolore per una scomparsa che ha lasciato un vuoto incolmabile nel panorama cinematografico globale, soprattutto in considerazione del fatto che nessuno sa se nascerà più un regista dell’anima di quel livello, capace di captare i sentimenti umani e di renderli con incredibile realismo, fino a culminare in un’amara sensazione di sconfitta che poi era, almeno in quegli anni, la nostra condizione singolare e collettiva.


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