Liberate Gabriele Del Grande: serve il suo sguardo per raccontare il sultanato turco

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Da otto giorni Gabriele Del Grande, giornalista, blogger e documentarista, si trova in stato di arresto in Turchia. La sua colpa? Essere al confine con la Siria, in una zona non consentita e di fatto interdetta ai giornalisti, secondo le “leggi” dello stato di forza maggiore lanciato da Erdogan l’indomani del fallito colpo di Stato. Come lui altri 150 giornalisti si trovano nelle mani dei militari turchi. Alcuni accusati di aver ordito il golpe, altri perché invisi allo strapotere del presidente Erdogan, di fatto diventato “sultano” dopo il successo sul filo di lana del referendum: un risicato 51% che consegna nelle mani dell’attuale premier un potere che sconfina nel totalitarismo. Gabriele starebbe bene, assicurano dalla Farnesina, e nei prossimi giorni – secondo fonti turche – potrebbe essere rimpatriato. Rimpatriato? E perché?

Del Grande, 35 anni, reporter e autore del bellissimo documentario, finanziato tramite crowdfunding, “Io sto con la sposa” – che racconta la vera storia di cinque profughi palestinesi e siriani, sbarcati a Lampedusa, che per arrivare in Svezia mettono in scena un finto matrimonio. Un film accolto molto bene alla 71ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti – si trovava in Turchia per il suo nuovo progetto finanziato dal basso: “Un partigiano mi disse”, un libro sulla guerra in Siria e la nascita dell’ISIS, raccontate intrecciando storie di gente comune, geopolitica e storytelling. Un progetto che ha raggiunto la ragguardevole cifra di 47mila euro su Produzioni dal Basso.

Mentre la stampa italiana, in crisi e senza budget per inchieste internazionali, non racconta con dovizia alcune importantissime storie, rimane solo il “porta a porta” per raccogliere dei soldi e lavorare. Per raccontare. Con uno sguardo diverso. E allora perché rimpatriare un giornalista che sta lavorando proprio al racconto di un paese a democrazia limitata?

Intanto il ministero degli Esteri assicura, con la collaborazione dell’Ambasciata d’Italia ad Ankara e il Consolato a Smirne, di star seguendo il caso con la massima attenzione per favorire “una rapida soluzione della vicenda”. Il legale della famiglia di Del Grande, Alessandra Ballerini, e Luigi Manconi, presidente della commissione per la Tutela dei Diritti Umani del Senato sono impegnati, dalle prime ore dell’arresto, a tenere un filo diretto con Ankara: “Abbiamo ricevuto la conferma che la Farnesina mantiene la massima attenzione sulla sorte di Del Grande, trattenuto in un centro di detenzione amministrativa in Turchia. L’Ambasciatore italiano ad Ankara, che ha avuto incontri con il ministro degli Esteri e il Direttore generale del ministero dell’Interno della Turchia, ha confermato lo stato di buona salute di Del Grande e la sua imminente espulsione dal Paese”.

“Diamo tutta la fiducia, ma non sapere niente ci fa stare molto in ansia”, afferma intanto il padre di Gabriele Del Grande in un’intervista con il Tgr Rai della Toscana. L’uomo che vive in Lucchesia dice che dopo l’sms, domenica scorsa, inviato da Gabriele alla moglie per dire che era stato fermato, di suo figlio non ha saputo più niente. “L’importante – afferma ora il padre – è che torni a casa, ha due bimbi piccoli e una moglie, oltre a noi”.

Sui social con gli hashtag #FreeGabriele e #iostoconGabriele si cerca di mantenere alta l’attenzione sul caso Del Grande. Grazie all’impegno di Fnsi, Articolo21, UsigRai, NoBavaglio, fumettisti, artisti e i tanti colleghi giornalisti di Gabriele il 2 maggio è stata organizzata una grande manifestazione a Roma per la liberazione dei giornalisti in Turchia e per la libertà di informazione. L’importante adesso è la pronta scarcerazione di Gabriele. Poi senza dubbio bisognerà raccontare il volto del sultanato turco, dei suoi confini, dei silenzi europei, della devastazione siriana. E quale migliore penna può raccontare tutto ciò se non quella di Del Grande?


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