Foibe, non dimentichiamole

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Meno di un mese fa quasi tutti i mezzi di comunicazione della penisola – con qualche significativa eccezione del poco spazio e risalto dato dai giornali e dalle televisioni della destra più o meno militante – si sono occupati del giorno della memoria che evoca con assoluta immediatezza il ricordo del lager di Auschwitz e ancora di più la galassia di campi che nei sei anni della seconda guerra mondiale punteggiando l’Europa intera di orrori.

Oggi 10 febbraio è il caso di ricordare-comunque la si voglia pensare un altro orrore abbastanza vicino a noi italiani che è stato a lungo avvolto nel silenzio e nel buio, come le vittime (oltre diecimila, ma difettano i calcoli precisi) gettate vive o morte, tra il 1943 e il 1947, nelle cavità carsiche per volontà del maresciallo jugoslavo Tito e i suoi partigiani in nome di una pulizia etnica che doveva annientare la presenza italiana in Istria e Dalmazia, entrate con la guerra a far parte dello Stato jugoslavo.  Un genocidio riconosciuto molto tardi ufficialmente, nel 2004 che istituì la “Giornata del ricordo” in memoria delle Foibe e dell’esodo giuliano dalmata. Vale la pena settant’anni dopo spiegare che cosa è successo.

La spirale di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre del 1943; mentre le truppe naziste assumono il controllo di Trieste, Pola e Fiume, il resto della Venezia Giulia passa nelle mani dei partigiani slavi che si vendicano contro i fascisti e gli italiani considerati a loro volta possibili oppositori del regime comunista jugoslavo e dell’annessionismo fino a quel momento esercitato. Il 13 settembre 1943, nel comune di Pisino, viene proclamata unilateralmente l’annessione dell’Istria alla Croazia e i partigiani dei Comitati di Liberazione improvvisano tribunali che emettono centinaia di condanne a morte. Le persone presenti in questi elenchi vengono arrestate e condotte a Pisino e quindi giustiziate insieme ad altre, di etnia croata: moriranno scaraventati nelle foibe o nelle miniere di bauxite. Secondo le stime più attendibili, le vittime nel breve periodo settembre-ottobre 1943 nella sola Venezia Giulia sarebbero tra 400 e 600 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria per la loro efferatezza: valga per tutti il nome  di Norma Cossetto, una studentessa istriana che non volle aderire al movimento partigiano e, perciò, venne arrestata e condotta all’ex caserma della Finanza di Parenzo, quindi sottoposta a sevizie di ogni genere. La notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943, insieme ad altri prigionieri, fu portata a piedi a villa Surana e lì gettata, probabilmente ancora viva, in una foiba.

Il massacro si ripete nella primavera del 1945 quando Trieste, Gorizia e l’Istria vengono occupate dall’esercito di Tito: questa volta le vittime sono soprattutto gli italiani, non solo i fascisti ma tutte le personalità che avrebbero potuto minare il nuovo ordine comunista, compresi i partigiani, i membri del comitato di liberazione nazionale e tutti i sostenitori della comunità italiana nella Venezia Giulia.

Tito pensava alle future trattative tra l’Italia e la Jugoslavia e pensava che l’indebolimento o meglio ancora l’annientamento della presenza italiana sarebbe stato decisivo per quelle trattative. Soltanto nel 2001 verrà pubblicata la relazione della “Commissione storico-culturale italo-slovena che ebbe l’incarico di mettere a punto una versione condivisa dei rapporti tra i due Paesi tra il 1880 e il 1956. Non c’è dubbio peraltro che il lungo silenzio italiano e internazionale sulle foibe ha avuto più ragioni: prima di tutto la rottura tra Stalin e Tito nel 1948 che spinge tutto il blocco occidentale delle potenze ad avere rapporti  meno tesi con la Jugoslavia in funzione antisovietica e in secondo luogo l’atteggiamento di un certo PCI che non intendeva mettere in evidenza le proprie colpe e contraddizioni sulla vicenda.  Ma ora che tutto sul piano storico è più chiaro (pur con le perduranti incertezza a volte non soltanto sulle cifre delle vittime) è necessario ricordare senza esitazioni anche l’orrore delle foibe.


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