#FightImpunity: in rete contro i crimini verso i giornalisti

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NAZEEHA Saeed, corrispondente di France 24 e Radio Monte Carlo Doualiya, il 22 maggio 2011 è stata picchiata, torturata e umiliata da cinque agenti di polizia a Rifa’a per aver partecipato due mesi prima alle marce per la democrazia in Bahrein. Rilasciata dopo essere stata bendata, costretta a bere urina e picchiata con un tubo di gomma sulla pianta dei piedi, e non prima di aver firmato un documento che non ha potuto leggere, ha denunciato il fatto alla magistratura del Bahrein e pochi giorni fa si è trovato indagata lei stessa per aver denunciato i maltrattamenti subiti. 

È solo l’ultimo esempio in ordine di tempo di quanto costi fare informazione in un mondo dove solo in questi 10 mesi del 2014 sono stati uccisi 56 giornalisti mentre quasi 400 operatori dell’informazione, blogger e attivisti, sono stati imprigionati, in gran parte senza accuse precise e senza un processo. Per questo motivo l’assemblea generale dell’Onu ha indicato il 2 novembre come la Giornata mondiale per la fine dell’impunità dei crimini commessi contro i giornalisti. Un tributo questo a due giornalisti francesi di Radio France Internationale, Ghislaine Dupont e Claude Verlon, uccisi in Mali proprio il 2 Novembre 2012. L’iniziativa, sponsorizzata da Reporter senza frontiere è stata accompagnata dal lancio di un sito web che ha come obiettivo la divulgazione delle mille storie di abusi, censure e rappresaglie che negli ultimi dieci anni si sono concluse con l’omicidio di circa 800 giornalisti, dalla Russia al Pakistan, dall’Eritrea al Messico.

Per difendere il fondamentale diritto all’informazione, l’associazione indipendente di giornalisti ha deciso di promuovere la campagna in inglese, francese e spagnolo sotto l’hashtag #FightImpunity, lamentando che la quasi totalità dei crimini commessi, circa il 90%, non è mai stata portata in tribunale o punita dalla legge, alimentando il senso di impunità dei regimi e delle gang criminali che ne sono stati autori. Sul sito di rsf.org campeggiano 10 casi esemplari di torture, sparizioni e assassinii di cui sono stati oggetto dei giornalisti. 

María Esther Aguilar Cansimbe, messicana, è una di queste. Sparita all’età di 33 anni l’11 novembre 2009 dopo essere uscita di casa in seguito a una telefonata. Aveva indagato sugli abusi della polizia di Zamora ed era già stata minacciata dal cartello criminale La Familia. Dawit Isaak, detenuto in Eritrea non ha potuto vedere la sua famiglia per 13 anni e nonostante l’ntervento dell’Unione Europea e dello Stato svedese di cui è cittadino, non ha ancora avuto un processo. Il giornalista franco libanese Samir Kassir è stato fatto saltare in aria insieme alla sua auto nel 2005. Il pakistano Syed Saleem Shahzad, è invece stato trovato morto nel 2011: reporter dell’agenzia italiana Adn Kronos, studiava i legami tra Al-Qaeda e l’esercito pakistano. Il francese Guy-André Kieffer, disperso in Costa D’Avorio nel 2004 mentre indagava su dubbie pratiche commerciali del paese produttore di cacao, è un altro giornalista che ha pagato così la dedizione alla professione. In tutti questi casi la polizia non ha indagato adeguatamente e talvolta si è resa corresponsabile dell’insabbiamento delle indagini. 

Il sito web della campagna, presentando all’opinione pubblica queste storie – dettagliatamente documentate – offre la possibilità di inviare tweet e lettere preimpostate ai capi di stato e di governo dei paesi dove i crimini contro i giornalisti sono stati commessi.  Per i promotori della campagna che invitano i cittadini a difendere il loro diritto a essere informati “bisogna usare ogni mezzo necessario affinché termini la violenza contro giornalisti e media workers, e affinché gli stati siano indotti a condurre indagini veloci ed efficaci nei casi di violenza che coinvolgono chi ha come unico obiettivo raccontare a tutti il mondo in cui viviamo”.

* Fonte “la Repubblica”


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