“Almanacco dei tg 2102-2013”. Di Alberto Baldazzi. “Un anno di vita italiana attraverso l’informazione di prima serata”

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Un umorista umorale, del quale per falsa modestia non rivelo l’identità, una volta ha scritto: “Io la televisione non la guarderei se ci fosse un altro modo per tenerla sotto controllo”. Scommetto che questo ameno pensierino è condiviso per intero dall’eroico Alberto Baldazzi, che esce meritatamente in libreria col suo “Almanacco dei Tg 2012-2013” (Datanews editrice), imperdibile raccolta dei bollettini quotidiani pubblicati, sul sito di Articolo 21 e su quello dell’Unità, per la rubrica “Osservatorio Tg”. Imperdibile raccolta, dicevo, di ciò che ci siamo persi, o magari abbiamo visto e poi rimosso, oppure ancora speravamo di aver dimenticato ma, ritrovandolo in formato di annotazioni critiche stringate e stringenti, abbiamo rivissuto attraverso una sorta di dilatazione della percezione sensoriale generata da una scrittura limpida e avvolgente. Quella dell’autore, il cui sopracitato eroismo salta agli occhi al solo rendersi conto dell’incredibile stress cui ha sottoposto i propri occhi, cervello e cuore pur di monitorare per noi quanto, ogni giorno, le edizioni serali dei telegiornali di Rai, Mediaset e la 7 hanno propinato a milioni (più o meno 25) di teleutenti nell’annata 2012-2013. Baldazzi è un osservatore puntuale ma non asettico, ed il bello del libro è proprio il suo virtuosistico tenersi in equilibrio fra cronache dettagliate di titoli e servizi e commenti divertenti e sferzanti, il tutto sul filo esilissimo delle poche righe di ogni report giornaliero. Scorrono, nelle pagine del volume, le trame palesi e occulte della politica di questi ultimi mesi, dal settembre dell’anno scorso a oggi, in un dispiegarsi di tecniche narrative, informative e omissive delle più importanti testate televisive italiane. I punti cruciali della questione tv nazionale ci sono tutti, dal gigantesco, immarcescibile conflitto di interessi in fard e ossa alla interessata tendenza a buttarla in cronaca nera e gossip (Studio Aperto ma anche, per un bel po’, i cascami delle “news” di Minzolini), fra lodevoli eccezioni storiche (il Tg3, a dispetto di come molti lo raccontano), inedite (il telegiornale di Mentana), e confortanti tentativi, specie del Tg1 di Orfeo ma anche del Tg2 di Masi, di ritrovare linee editoriali apprezzabili dopo l’era buia della (non)informazione ad berluscam. Temi fondamentali evidenziati dagli esempi pratici che ci fa stoicamente di edizione in edizione l’osservatore Baldazzi, supportato da validi collaboratori (l’autore cita Lorenzo Coletta e Luca Baldazzi): personalmente, oltre ad essergliene grato, ho sentito l’esigenza di scambiare qualche impressione con lui. Ecco qui di seguito la nostra conversazione.

Innanzitutto una curiosità di stampo antropologico: cosa spinge una persona adulta e vaccinata, per quanto dotata di ottimi collaboratori, a sottoporsi ad un supplizio terrificante quale quello della visione quotidiana di tutti i telegiornali, con in più la pena accessoria di scriverne una cronaca dettagliata? Un eroico spirito di servizio o qualcosa d’altro, magari di natura masochistica? Siamo per caso dalle parti del miglior Totò che, pur non essendo Pasquale, si lasciava menare dal tipo manesco che così lo chiamava, per vedere fino a dove voleva arrivare? Volevi vedere dove volevano arrivare i telegiornali?
Confesso che l’ipotesi legata al nome di Von Masoch mi ha sfiorato più volte. Soprattutto all’inizio del mio lavoro – quattro stagioni fa –  l’impatto è stato infatti assai devastante. Poi ci ho fatto il callo e, per rimanere a Leopold Von Masoch –  il cui primo cognome era Sacher – ho seguito  la massima morettiania, “continuiamo così, facciamoci del male”. Mi è parso di capire che il sacrificio avesse comunque un senso. Non esiste, infatti, uno specchio più fedele dei Tg  per visionare le tante contraddizioni del Paese e, soprattutto, le  immagini deformate e deformanti che ne danno i media. Venti-venticinque milioni di italiani che “cenano” con i Tg di prime time, rappresentano l’agorà virtuale e, al contempo sostanziale, più indicativa della sottocultura che alberga trasversalmente nello Stivale (isole comprese). Quando dico ”sottocultura” non la contrappongo alla cultura aulica, libresca e all’Accademia della Crusca, ma al buon senso comune e ad una gerarchia di valori ancora diffusi, ma che ormai non hanno dignità mediatica. Mi è sembrato utile non “rimanere sulle generali”, ma scendere invece negli abissi del quotidiano. Sappiamo tutti che il colesterolo alto fa male; che glicemia e azotemia vanno tenute sotto controllo perche fattori di rischio. Le analisi, però, se va bene ce le facciamo ogni quattro-cinque anni. Io ho deciso di fare tutti i giorni l’analisi dei fattori di rischio dell’informazione televisiva.

Parliamo dell’influenza della televisione sui comportamenti elettorali, posto che i tiggì sono una sorta di summa della tv. Una volta ho scritto questa massima: “La tv non condiziona il voto: lo comanda”. Sei d’accordo?
Concordo. Una delle elaborazioni più interessanti e vitali della communication research – anche se ha più di trent’anni di vita – è quella dell’agenda-setting, “mitigata” dall’agenda-building. In poche parole si può riassumere così: delle tante idee, problematiche e riflessioni che animano una società civile, le uniche che acquistano dignità pubblica sono quelle “adottate” dai media mainstream, ovvero principalmente dalla televisione.  La loro permeabilità, la loro capacità di cogliere ciò che si agita nella società reale, è assolutamente relativa e, nella maggior parte dei casi, scarsa. A dettare legge sono gli interessi costituiti che, nel nostro Paese, coincidono con l’establishment politico. L’agenda-building, ovvero la capacità di ascolto delle varie istanze della realtà, soprattutto da noi funziona assai poco. Per fare un esempio, nell’intero mese di ottobre 2010, ovvero in pieno “autunno caldo” contrassegnato da evidenti segnali di crisi e dall’aumento della disoccupazione, il più importante Tg  italiano, il Tg 1 di Minzolini, ha dedicato solo cinque titoli ad un’economia chiaramente traballante: in tre casi il Tg 1 ha “titolato” sulla crisi in altri Paesi; nel quarto si è trattato un ”primo piano” per il Ministro Tremonti che magnificava la solidità dei conti pubblici; infine, un titolo veramente “agghiacciante” sul possibile aumento della tazzina del caffè. Tutto qui. Scusa il lungo preambolo; per rispondere alla tua domanda, sì, la televisione è ancora decisiva per l’orientamento politico degli italiani, tanto più in campagna elettorale. Questo avviene, non a caso, perché i Tg “rispondono” direttamente per una metà al massimo “signore della guerra” del panorama politico al quale , per l’altra metà, non mancano, certo, agganci e connivenze. Berlusconi in Tv, il questa Tv del conflitto d’interessi, vale da solo almeno sei/sette punti percentuali. A dimostrarlo, le elezioni di fine febbraio. Come prova del nove valgono quelli delle amministrative di primavera, il cui il Cav. non si è esposto.

Grazie alla lettura dei tuoi osservatori quotidiani in sequenza, è possibile guardare negli occhi i telegiornali e non si può che vedere la trave colossale del conflitto di interessi. Al di là della distrazione interessata o ottusa della politica, possibile che i cittadini questa trave non la notino? Anche questo, a tuo parere, è un effetto del conflitto di interessi?
Il conflitto d’interessi è una tematica che  – dispiace dirlo –  non affascina più di tanto gli italiani. All’italiano medio importa poco se il tal giornalista o il tal altro è “arruolato” nelle fila di questo o quel settore politico o padrone: a ragione o a torto, sono “tutti uguali”, dei privilegiati per censo e status. Lo stesso mantra vale per il personale politico, e questo spiega in parte il successo di Grillo,  pienamente “supportato” dai Tg per tutto il 2012. Il conflitto d’interessi andrebbe illustrato attraverso i risultati perniciosi che produce e che –  questi sì-  impattano direttamente sulle tasche e nella vita dei cittadini. Ma la sinistra non è stata capace di farlo adeguatamente.

Tornando alla politica, o meglio andando sulla sinistra. Io penso che il non aver affrontato il conflitto di interessi non sia stato frutto di chissà quale patto perverso con Berlusconi, ma di una sottovalutazione del problema, specie riguardo gli effetti di condizionamento dell’opinione pubblica. Insomma, il retropensiero costante è stato, e forse è tuttora, “tanto i cittadini capiscono”, non avvertendo come invece fossero e siano manipolati dal proprietario dei mezzi televisivi. Concordi?
E’ il discorso dell’uovo e della gallina. Il berlusconismo non si risolve, in corpore vivo, nella figura e nel destino politico del Cavaliere. Ha contaminato tutto e tutti, compresi diversi ambienti della sinistra. C’è stato chi, in tema di conflitto d’interessi, ha ritenuto sufficiente “battere” o meglio, tentare di battere un “tradizionale” avversario politico – che però non aveva nulla di “tradizionale” –  utilizzando strumenti politico-culturali gloriosi, ma sorpassati. Tutto ciò – ritengo – in perfetta buona fede, ma con i risultati cui abbiamo assistito. C’è poi un altro aspetto che non va sottovalutato: è diffuso tra gli italiani un senso assai scarso dello Stato e, conseguentemente, chi fa esplicito riferimento all’interesse particolare dei singoli e dei gruppi, incarnandolo in prima persona, risulta rassicurante. Non importa, poi, se il proprio interesse confligge con quello collettivo. Non a caso anche nei sondaggi le quotazione di Berlusconi sono in genere sottostimate: la gente si “vergogna” di dichiararsi a favore del super ricco, del super furbo, del supervincente che “gode” di un’eterna giovinezza e che si può “permettere” giovani e giovanissime donne. Si vergogna ma, poi, lo vota perché vorrebbe assomigliargli.

La tua raccolta si apre con due temi principali, che occupavano l’informazione fra settembre, ottobre e novembre 2012: gli scandali delle malversazioni nelle amministrazioni regionali, a partire da quella del Lazio, e le primarie nel centrosinistra. Ho notato, con l‘eccezione del TG3 e talvolta del Tg di Mentana, una duplice tendenza: enfatizzare gli scontri e le divisioni nel centrosinistra riguardo regole e candidature, e non distinguere i comportamenti delle varie forze politiche coinvolte negli scandali sui fondi regionali, quando non, da parte dei tiggì berlusconiani, occultare le gravi responsabilità della destra. Se ho notato bene, credi sia stata una scelta sempre consapevole e che abbia giovato, almeno nel lungo termine, ad evitare il tracollo totale di Papi?
Andiamo con ordine. Le baruffe chiozzotte nel centrosinistra, prima, durante e dopo le primarie, non mi hanno spaventato più di tanto perché sono state annegate nel successo del voto di simpatizzanti e militanti: un “popolo” paziente che, forse, meriterebbe qualcosa di più dalla sua rappresentanza politica. Ma per questo vale la considerazione generale: anche a sinistra gli stilemi delle “frasi gridate”, il protagonismo ed il leaderismo sono diventati pane quotidiano. Si guardi a Bersani: la sua campagna elettorale da leader del centrosinistra è stata, a mio modo di vedere, inappuntabile: due mesi senza una dichiarazione fuori delle righe, senza alcuna concessione al populismo, senza sciroppi miracolosi. Eppure la campagna elettorale è risultata in parte inefficace: mala tempora currunt. La risalita verso una condizione di maggior serietà e  consapevolezza, che assecondi  non solo le istanze di un  popolo di tre milioni di simpatizzanti, ma trascini un Paese di più di quaranta milioni di elettori, è ardua. Ma questa, in realtà,  è la sostanza  reale di quello che chiamiamo “il superamento del berlusconismo”. Tornando ai “nostri” Tg, chi si è occupato anche criticamente e incessantemente dei “problemi in casa Pd” – Tg 3, TgLa7 ma, in sostanza, anche tutti gli altri –  ha fatto solo il proprio dovere. I Tg Mediaset, certo, hanno esplicitamente “goduto” di scontri e divisioni, sbattendoli in apertura anche quando non “freschi di giornata”. I conti non tornano se, però, si assiste ad un contemporaneo quasi totale insabbiamento dell’agonia del Pdl negli stessi mesi, ovvero nell’autunno 2012. Anche la notizia del (momentaneo) ”abbandono” del Capo, è stata data da Cologno Monzese in tutta fretta e a mezza voce. Per quel che riguarda le notizie sulle ruberie di Regionopoli, il comportamento è stato difforme: corretto, con attenzione “a destra e a manca” da TG 3, Tg2 e TgLa 7; a senso unico per Mediaset. E’ praticamente impossibile trovare su Studio Aperto, Tg 4 e Tg 5 – ma anche sul Tg1 di Maccari – notizie, ad esempio, sul Pirellone e Formigoni. Non credo che, comunque, Regionopoli abbia spostato più di tanto gli orientamenti politici degli italiani, se si esclude il caso della Lega che tra amministrative e ed elezioni nazionali ha sacrificato metà dei suoi voti sull’altare di Belsito e del cerchio magico di Bossi. Ma sempre sul tema di ruberie e legalità c’è da segnalare un’ardita operazione editoriale durata lunghi mesi proprio sui Tg di Berlusconi: la denuncia di una “politica corrotta” che non “piace più agli italiani” e che proprio il Cav. denuncia come tale. Mediaset ha flirtato, insomma, per buona parte del 2012 con l’antipolitica, lucrando sull’ambivalenza “tutti colpevoli, nessun colpevole”. In questa “campagna” per lunghi mesi – almeno fino alle elezioni siciliane – i veri alleati “culturali” di Mediaset sono stati proprio Beppe Grillo ed il Movimento Cinque Stelle.

Un tormentone-luogo comune è quello di un Tg3 uguale e contrario ai telegiornali di destra. Invece salta agli occhi, dalle tue cronache puntuali, come non sia affatto un bollettino ufficiale del partito democratico, del quale, invece, racconta senza reticenze le mille contraddizioni e difficoltà. Eppure il tormentone propagandistico funziona: a tuo avviso non è possibile smontarlo?
Io penso che il Tg3 non abbia bisogno di difensori, anche perché, obbiettivamente, sono pochi i suoi detrattori. A Bianca Berlinguer va riconosciuto il merito di aver parlato di crisi, di “tetti occupati”, di sistema scolastico e universitario in frantumi, quando altri, anche nel Servizio Pubblico, proponevano gossip ed infotainment  a gogò  e rendevano l’immagine di un Paese felice e satollo, grazie alla paterna guida del suo immarcescibile Condottiero: Silvio Berlusconi. In Più il Tg3 le notizie, tutte le notizie, le dà da sempre, anche quando sono “scomode” per l’area culturale della sinistra. Capisco che possa apparire incredibile ma, credetemi, è così. L’ultima stagione ha fatto sentire il Tg3 un po’ meno solo. A fargli compagnia sul fronte di un giornalismo più corretto, preciso e, qualche volta, anche coraggioso, è da un paio d’anni il Tg2 di Marcello Masi. C’è poi la novità dell’ultima stagione, con l’arrivo di Mario Orfeo alla guida di un Tg 1 annichilito da due anni di direzioni Minzolini e da tredici mesi a bagno-maria di direzione Maccari. Ora l’ammiraglia dell’informazione pubblica è in risalita sia in ascolti che in credibilità.

Pensi che la novità ed il successo del telegiornale di Mentana siano un’eccezione destinata a restare tale, o possano indicare una strada percorribile anche da altri?
I risultati di Mentana nella fascia delle ore 20 sono notevolissimi e vanno ascritti a due fattori ben distinti: le capacità professionali indiscutibili del Direttore-Conduttore, e il deserto  e la desolazione giornalistica e culturale cui la fascia era stata ridotta dal Tg 5 di Mimun e, soprattutto, dal Tg1 di Minzolini. Senza parlare dei picchi di audience sopra i quattro milioni (novembre 2011), Mentana con i suoi due milioni abbondanti dell’edizione delle 20 ha quintuplicato l’esiguo gruzzolo della testata, portando circa mezzo milione di nuovi telespettatori a consumare informazione in quella fascia, e strappandone un milione in parte al Tg 5 e, in misura maggiore, allo screditatissimo Tg 1. Mentana è preparato, indipendente e, soprattutto, ama il lavoro del giornalista (cosa tutt’altro che scontata per altri direttori). Più di qualche angoscia sul futuro de La7 e del suo Tg accompagnerà il prossimo autunno, vista la “svendita” a Cairo operata da Telecom.

Molte le tecniche adottate dai telegiornali Mediaset, e anche da quelli Rai molto vicini a Silvio, per favorire il Capo: quali giudichi le più efficaci e/o astute?
Sui temi e sulle tensioni politiche i Tg Mediaset hanno sempre “mediato” tra le posizioni più aggressive interpretate dai quotidiani “di famiglia” e le indicazioni più “tattiche” del Capo. Le tecniche più diffuse sono quella dello struzzo, relativamente ai dissidi interni al centrodestra, e quella che definirei dell’ “arringa mediatica” sulle questioni giudiziarie che investono direttamente Berlusconi. In tutta la stagione non è possibile trovare neanche un “caso” di corretta cronaca giudiziaria. Al contrario, le testate Mediaset  (e fino a tutto il 2012 anche il Tg1) hanno sempre interpretato un ruolo ancillare rispetto alle posizioni dell’ufficio legale Ghedini. “Persecuzione”, “toghe rosse”, “campagna di fango”: chi nei mesi si è abbeverato solo ai Tg di famiglia è risultato vaccinato da qualsiasi elemento di verità e obbiettività. Il caso degli speciali “La guerra dei Vent’anni” ne è l’estrema manifestazione.

Un’ultima cosa: dopo tanto parlare di Internet, eccoci ancora qui a ragionare sulla tv e sui suoi effetti: è la dimostrazione che ci eravamo raccontati un futuro inesistente?
Assolutamente no: non vorrei apparire un passatista. Internet è una risorsa eccezionale e, certamente, destinata ad assumere la leadership della comunicazione. Tra dieci/venti anni, quando i consumatori d’informazione saranno in maggioranza “nativi digitali”, il processo sarò compiuto. Ma ciò non significa che si possano interpretare con le lenti di un futuro prossimo le dinamiche e i problemi dell’oggi. Anche il fenomeno antitelevisivo per eccellenza, ovvero Beppe Grillo, non sarebbe esploso se non avesse potuto contare su di una clamorosa illuminazione “per assenza” realizzata da Tv e Tg. C’è chi lo fa, in buona o cattiva fede, con il risultato di saltare a piè pari le contraddizioni del sistema attuale. Conflitto d’interessi? Sdrucita governance del Servizio Pubblico annichilito dal controllo peloso della politica? Chi si occupa di queste tematiche rischia di passare per un nostalgico con il capo rivolto all’indietro e che non “coglie” gli orizzonti del nuovo. E intanto il “vecchio” continua a marcire, con grande soddisfazione dei soliti noti.


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