“Una carta d’identità per la Rai”. L’intervento di Benedetta Tobagi, cda Rai al convegno di Articolo21 e Fondazione di Vittorio

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Mi preme sottolineare innanzitutto la novità del convegno di oggi (ieri, ndr), il primo atto di un dibattito ampio, aperto e trasparente su un tema di straordinaria rilevanza, quale è il rinnovo della concessione del servizio pubblico nel 2016. Un dibattito di cui si sentiva la mancanza da tempo. Intorno al tema infatti, finora, abbiamo registrato solo scambi di “messaggi”, più o meno allusivi, o segnali d’allarme, o dichiarazioni ad effetto.
Importante anche l’impostazione concettuale del convegno di oggi e del dibattito a cui dà il via: discutere il tema del rinnovo della concessione, e, più in generale, il significato, la missione, le funzioni e il futuro del servizio pubblico, in stretta connessione con un ripensamento della governance Rai. Il tutto inserito con franchezza nel contesto italiano, vale a dire: tenendo ben presente il problema del conflitto d’interessi che affligge il sistema italiano. Un nesso ineludibile. È un limite grave dell’attuale dibattito politico – non solo intorno alla Rai – che il nodo del conflitto d’interessi venga sistematicamente eluso.

Credo che la discussione su questi temi debba essere inserita in una riflessione più ampia. Dobbiamo tener conto di come si è trasformata la politica negli ultimi anni. Nel corso delle mie ricerche, mi sono imbattuta di recente in una riflessione del filosofo Umberto Curi, un testo scritto nel 1981, che ho trovato molto pregnante e a dir poco profetico: “E’ in atto da alcuni anni a questa parte un processo di trasformazione”, scriveva Curi, “in forza del quale un po’ alla volta tutto il ‘politico’ si sta cambiando in ‘privato’ e poi in ‘clandestino’, attraverso quella che potremmo chiamare una ‘massonizzazione’ progressiva del nostro sistema politico […]” – laddove, ovviamente, il termine è usato in senso lato, e sottintende una crescente influenza nei processi decisionali di camarille riservate e gruppi di potere che operano dietro le quinte – “Non solo in linea di tendenza, ma con effetti concreti, in certa misura irreversibili, il processo di ‘massonizzazione’ produce un crescente occultamento delle regole del gioco politico, sempre meno ‘pubblicamente’ controllabile, sempre più dipendente dall’alterno andamento della contesa tra bande concorrenti […] rovesciando il rapporto tra potere formale e potere invisibile in favore dei centri occulti di formazione delle decisioni”. Ecco, a me pare che oggi noi viviamo in un contesto dove questo processo degenerativo, intuito dal filosofo, è arrivato a uno stadio molto avanzato.

In questo contesto, è fondamentale rivitalizzare il servizio pubblico, per ricominciare a produrre anticorpi rispetto a questa tendenza degenerativa della politica e degli altri sistemi di potere.

In questo contesto, è fondamentale riformare la governance Rai, per scioglierla dai lacci della legge Gasparri, che sottomette il destino della Rai a questa politica sempre più “massonizzata”, chiusa e opaca. La legge, ricordiamolo, ha un impatto diretto e molto concreto sulle nomine editoriali, alla base delle quali, attualmente, non vi sono meccanismi di selezione limpidi, mentre il voto è affidato a un consiglio d’amministrazione di nomina politica; un metodo diverso, interamente improntato alla  trasparenza, al merito e alla competenza sarebbe tanto più necessario ora, con lo sbiadirsi e il confondersi dei vecchi schemi (deprecabili, certo, ma comunque “leggibili”) delle appartenenze politiche.

In questo contesto, è importante, per reazione, sforzarsi di stimolare un dibattito il più possibile aperto, limpido, articolato, argomentato, e documentato intorno un tema cruciale per la democrazia come il destino del servizio pubblico radiotelevisivo. In molti, stamattina, hanno evocato il percorso di pubbliche consultazioni che nel Regno Unito porta al rinnovo della Royal Charter. Siamo ben consapevoli che “No, non è la BBC…”, come scherzavano Arbore e Boncompagni alla nostra radio nel ‘78, manca in Italia l’esperienza e la tradizione dei britannici in questo campo. Ma vale assolutamente la pena di tentare e costruire, comunque, un percorso articolato, trasparente, condiviso. Quando facciamo riferimento alle modalità di rinnovo della Royal Charter, tuttavia, bisogna tener presente due capisaldi: primo, l’azienda di servizio pubblico ha un ruolo centrale e proattivo. Secondo, i cittadini-utenti sono il referente fondamentale. Infine, occorrerà vigilare attentamente: nel contesto italiano, ammorbato dal conflitto d’interessi, dalle pressioni e dagli accordi dietro le quinte, bisogna scongiurare il rischio che il dibattito sul rinnovo della concessione venga strumentalizzato a danno del servizio pubblico stesso.

Quanto ai contenuti, vi sarebbero da dire moltissime cose, e molte sono state già dette. Mi limito per brevità ad accennare ad alcune delle sfide cui il servizio pubblico deve oggi far fronte: un contesto mediale totalmente rivoluzionato rispetto a vent’anni fa; una società sempre più complessa, difficile da capire (e dunque anche da rappresentare); una società in cui, se l’istruzione media è più elevata, si sta allargando a macchia d’olio il problema dell’analfabetismo funzionale, di cui molto si occupa, meritoriamente, il linguista Tullio De Mauro (il quale ci avverte che “soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”).

Fatte queste premesse generali, vorrei concludere soffermandomi su due punti specifici, che riguardano la Rai più nell’immediato. Cose che si possono fare subito.

Il primo punto riguarda il Contratto di servizio scaduto nel 2012. E’ il contratto-ponte che porta l’azienda di servizio pubblico verso il 2016, dunque una tappa importante all’interno di questa discussione. Colpisce che attualmente il gruppo di lavoro che se ne occupa all’interno della Rai sia molto ristretto, e non includa, per esempio, persone che abbiamo specifiche competenze editoriali ed esperienza sul prodotto, soprattutto su quanto, all’interno della produzione editoriale, è caratteristico del servizio pubblico. Ampliare un poco questo gruppo non pregiudicherebbe l’efficienza, e sarebbe un arricchimento importante, un modo di aprire un po’ le finestre – per così dire – e far circolare meglio le idee all’interno dell’azienda di servizio pubblico. Occorre valorizzare la preziosa “biodiversità culturale” presente all’interno della Rai. Cosa che oggi spesso non viene fatta. Visto che il contratto non è ancora concluso, e lo stesso Catricalà ha lanciato questa mattina l’invito “facciamolo un po’ più chiaro”, potremmo cogliere l’occasione per allargare il gruppo di lavoro interno, per utilizzare in modo virtuoso il ritardo accumulato.

Il secondo punto – e mi richiamo al titolo del convegno, “una carta d’identità per la Rai” – riguarda un grosso problema che si trascina da tempo: prima di capire cosa dovrà essere la Rai, è essenziale capire bene chi ci lavora oggi, e come. L’azienda di servizio pubblico, infatti, è prima di tutto le idee e i contenuti che produce, che sono il suo “biglietto da visita”, la faccia con cui si presenta ai cittadini, e le persone, tantissime, che ci lavorano. Il personale della Rai è la prima “risorse” da gestire e valorizzare al meglio. Serve un sistema serio, ben ponderato, di monitoraggio e valutazione interna delle risorse umane, dei curricula, delle competenze e della qualità del lavoro svolto. Ebbene, io oggi voglio concludere sollecitando la direzione generale affinché quello che sinora è soltanto un “titolo”, un’intenzione dichiarata ma ancora inattuata, diventi al più presto una realtà operante, perché Rai ne ha bisogno subito, anzi, ne avrebbe avuto bisogno da tempo: senza un simile sistema di monitoraggio e valutazione interno, realizzare una qualche forma di reale meritocrazia, capire chi merita di essere promosso, quali risorse competenze c’è realmente bisogno di chiamare dall’esterno, beh, è davvero molto difficile. Ora, metter in piedi un sistema del genere sicuramente attiverebbe forti resistenze interne (tanto è vero che l’unico tentativo agli atti, all’epoca di Celli, fu presto smantellato). Altrettanto urgente, e, per fortuna, assai più semplice e rapido, sarebbe procedere alla mappatura di quei circa 1500 lavoratori atipici che di fatto danno vita a gran parte dei contenuti editoriali, un calderone in cui c’è di tutto, dagli artisti e autori di primo piano ai redattori invisibili. Anche qui, per conoscere meglio l’azienda e sanare eventuali situazioni inique.

*consigliere d’amministrazione Rai


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